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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — Sto per morire... — ripetei.
   — Allora, di che cosa ti lamenti? — ribattè la voce. — Quando sarai crepato, non soffrirai più... E del resto, grida, se ti piace, ma non così forte! Ti chiedo soltanto di non disturbare il mio sonno...
   Questa dura indifferenza delle mie sofferenze mi irritò, e ripresi il dominio di me. Non articolai più che dei grugniti soffocati. Questa nuova fase durò un tempo infinito. Forse dieci minuti. E le mie torture presero un'altra forma.
   Adesso erano degli aghi e degli spilli che mi bu-: cavano da tutte le parti, colle loro innumerevoli ed impercettibili punture. Poi le punture cessarono, e fecero posto ad un intorpidimento generale, che mi parve mille volte più spaventoso. Ricominciai a gridare.
   Il mio vicino ricominciò a protestare.
   — Impossibile chiudere un occhio!... Dimmi dunque, compagno, io non sto meglio di te... La mia camicia è stretta come la tua! Ecco perchè voglio dormire e dimenticare...
   — Da quanto tempo sei dentro? — interrogai.
   Credevo, in coscienza, e pensando ai secoli di sofferenza che sembravano esser trascorsi per me, che quell'uomo così calmo fosse là da pochi minuti.
   Egli rispose:
   -- Da avantieri.
   — .Da avant'ieri nella camicia dì forza?
   — Precisamente, fratello.
   — Oh, Dio mio! — esclamai.
   — Ma sì, fratello. Da cinquanta ore di sèguito. Eppure senti che non mi lamento e non urlo. Mi hanno legato puntando i piedi sulla mia schiena. Sono ben conciato, puoi credermi! Non sei il solo, come vedi, a trovarti così. Ti lamenti, e non è ancora un'ora che ti ci hanno messo...
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