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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   capo di un'ora appena, morì nella camicia di forza, mentre lo stupido medico della prigione lo osservava sorridendo. Ne ho conosciuto un altro che, dopo mezz'ora confessò tutto quello che gli si voleva far dire, il falso come il vero, ciò che gli valse stima e fiducia e, per degli anni, tutta una serie di favori.
   Infine, ho la mia propria esperienza. Mentre scrivo queste righe, il mio corpo è segnato da quasi un migliaio di cicatrici. Esse mi seguiranno sino alla forca. E se dovessi vivere ancora cent'anni, cent'anni le conserverei, senza che si cancellassero.
   0 concittadini miei, che tollerate quei cani impiccatori, voi che li pagate e permettete loro di serrare in vostro nome degli infelici nella camicia di ¦ forza, lasciatemi spiegare un po' di che si tratta, , perchè certo voi lo ignorate. Allora comprenderete , come, a forza di sofferenze, io sono, vivente, fug-, gito da questa vita e, diventato padrone della spazio e del tempo, ho potuto volare fuori delle mura della gehenna, fino alle stelle.
   Voi avete già visto, suppongo, dei grossi copertoni di tela ruvida o di caucciù, i cui orli sono guer-niti di solidi occhielli di rame. Immaginate, con questi occhielli, una di queste ruvide tele, lunga circa quattro piedi e mezzo. La sua larghezza non raggiunge completamente la circonferenza d'un corpo umano, di cui la stoffa segue press'a poco il disegno. Così essa è più larga alle spalle ed ai fianchi, più stretta al petto ed alle gambe.
   Questa tela è distesa per terra. L'uomo che dev'essere punito, o torturato perchè confessi, riceve l'ordine di allungarvisi sopra, col viso contro terra. Se egli rifiuta, è battuto. Allora, egli obbedisce.
   L'uomo è dunque bocconi per terra. Gli orli della camicia di forza sono avvicinati uno all'altro, in modo da congiungersi lungo la sua schiena. Una