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JACK LONDON
corallo balenavano in fondo agli abissi, color tur-chese. Poi, ridiscendendo al timone, conducevo il mio battello, con mano sicura, nel porto pacifico, scintillante come uno specchio, nei golfi calmi, all'entrata dei quali il flutto si spezza eternamente, con un rumore sordo, sui banchi a fior d'acqua degli stessi coralli.
Più vicina nella sua origine, era un'altra reincarnazione, che spesso si operava in me: quella dei giorni della mia infanzia. Ritornavo il piccolo Darrell 'Standing che, nella fattoria paterna, correva a piedi nudi, nell'erba umida della rugiada primaverile. O, come quando, nei freddi mattini d'inverno, andavo, colle mani piene di geloni, a portare il fieno alle bestie, nella stalla tiepida, piena del loro alito fumoso. E mi sembrava di sedermi, la domenica, davanti al predicatore, ascoltando, con uno sgomento infantile dello splendore _e del terrore divino, i discorsi stravaganti che egli faceva della felicità della Nuova Gerusalemme e delle sofferenze orribili del fuoco infernale.
Da dove provenivano queste visioni, mentre nella mia cella mi sprofondavo sulla schiena, dopo avere a lungo fissato una festuca di paglia, brillante in un raggio di sole?
Io, Darrell Standing, nato ed allevato in un angolo sperduto della campagna del Minnesota, già professore d'agronomia, poi prigioniero incorreggibile a San Quintino, ed oggi condannato a morte, nella prigione di Folsom; io, Darrell Standing, che morirò fra poco impiccato, in California, non ho certo mai, in questa attuale esistenza, amato delle figlie di re. Non sono mai stato sul trono, colla spada in mano. Non ho mai navigato, nè mescolato la mia voce a quella dei marinai, che si inebriano di liquori forti e cantano allegramente le loro fiere canzoni, mentre, nella tempesta, la nave