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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   IL VAGABONDO DELLE STFI.LE
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   care queste evocazioni indisciplinate, a mettere un po' d'ordine nei fatti e nei personaggi.
   Il mio metodo d'auto-ipnosi era semplicissimo. Seduto, colle gambe incrociate^ sul pagliericcio, mi mettevo a guardare una festuca di paglia, che avevo applicata sul muro della mia cella, nel punto in cui la luce era più viva. Fissavo a lungo questo punto brillante, al quale avvicinavo insensibilmente i miei occhi, fino a che le mie pupille si offuscassero. .Nello stesso tempo rallentavo qualunque altra volontà e m'abbandonavo ad una specie di vertigine, che non mancava d'impadronirsi di me. Veniva il momento in cui mi sentivo vacillare. Allora chiudevo gli occhi e, oscillando indietro, mi lasciavo, inconsciamente, cadere sulla schiena, sul mio pagliericcio.
   Da questo momento, per un tempo variabile, che ' andava da dieci minuti a mezz'ora, e fin a un'ora, erravo e vagavo attraverso tutti i ricordi accumulati delle mie riapparizioni vitali su questa terra. Ma, come ho detto, tempi e luoghi si succedevano troppo rapidamente, e troppo confusamente, nel mio cervello.
   Tutto quel che sapevo, quando rientravo in me, è che Darrell Standing era il legame che collegava fra loro tutte quelle visioni bizzarre, danzanti e vacillanti. Niente altro. Non riuscivo a rivivere interamente nel tempo e nello spazio, nessuno dei miei sogni, se cosi posso chiamare queste evocazioni.
   Cosi, per esempio, dopo un quarto d'ora della mia ipnosi, avevo l'impressione, quasi simultanea, di strisciare e muggire nel fango primitivo, e di volare attraverso l'aria, in pieno secolo ventesimo, sul monoplano del mio amico Hoos. Risvegliato, mi ricordavo benissimo che nell'anno che precedette il mio imprigionamento a San Quintino, avevo in-