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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   JACK LONDON
   « Memorie », per ascoltare, nell'afa d'un caldo pomeriggio, il calmo e tranquillante ronzģo delle mosche nell'aria assopita. Non sono le mie mosche di San Quintino, e queste non mi conoscono affatto. Non ho pił per compagni, nel reparto dei condannati a morte, Oppenheimer e Morrell; ma, alla mia destra, Giuseppe Jackson, il negro assassino, ed alla mia sinistra Bambeccio, l'italiano omicida. In questo momento stesso, passano e ripassano davanti all'inferriata del mio finestrino, dei brandelli di frasi che essi si scambiano a voce bassa, e che si riferiscono alle virtł antisettiche del tabacco da masticare, nella sua applicazione alle piaghe, ch'esso cicatrizza.
   Nella mia mano alzata, tengo la penna stilografi-, ca sospesa, e penso che nel corso delle mie vite anteriori, altre mie mani hanno, nei secoli passati, mosso dei pennelli, delle penne, delle piume d'uccelli tagliate, e tutti gli ingegnosi strumenti di cui i l'uomo, dalla pił remota antichitą, si č servito per scrivere. E trovo ancora del tempo da perdere, per domandarmi curiosamente se quel missionario non abbia mai avuto, come me, nella sua prima infanzia, la nozione di esistenze anteriori.
   Torniamo adesso a San Quintino.
   Dopo che ebbi imparato il codice segreto della conversazione coi miei due compagni di carcere e che ne provai una distrazione per qualche tempo, ricominciai a soffrire della mia solitudine e della meditazione interiore.
   Tentai allora, per sfuggire al presente, sdoppiando il mio pensiero ad il mio essere, di fare dell'auto-ipnotismo. Ottenni soltanto un mezzo successo. Il mio subcosciente, riprendendo la sua libertą, si metteva subito a vaneggiare, senza ordine e senza coerenza, in mille fantasie disordinate, degne tutt'al pił di un volgare incubo. Non riuscivo a classifi-