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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   52 JACK LONDON
   Cosi ci raccontammo, l'un l'altro, molta parte della storia della nostra vita. Per lunghe ore, Mor-rell ed io, sdraiati sul nostro pagliericcio, ascoltavamo Oppenheimer narrarci, coi colpi lontani ed appena percettibili delle sue dita, tutta la sua esistenza. Dal tempo della sua prima gioventù, vissuta in un antro di San Francisco; dagli anni del suo noviziato nel vizio, fra bande di ragazzacci, quando, a quattordici anni, era fattorino notturno; fino alla sua prima infrazione alla legge, che fu scoperta; poi, tutti i suoi furti ed i suoi gesti di brigantaggio; il tradimento di un complice, che lo fece imprigionare; ed i suoi omicidi, fra le mura stesse della prigione.
   Giacomo Oppenheimer era chiamato <( la tigre umana». Il nomignolo era certo stato inventato da qualche sudicio reporter, e sopravvivrà alla morte di colui a cui fu affibbiato. Quanto a me, ho trovato in Oppenheimer tutte la caratteristiche di una bella e vera umanità. Era devoto ai suoi amici, e leale. Gli era accaduto di subire dei duri castighi, piuttosto che testimoniare contro un compagno. Era valoroso e sapeva soffrire. Era capace di sacrificarsi; potrei darvene una prova innegabile, ma sarebbe una storia troppo lunga. L'amore per la giustizia era in lui una frenesia. Gli omicidi che aveva compiuto nella prigione erano dovuti interamente a questo sentimento esaltato della giustizia. Era un cervello magnifico, che tutta una vita passata in reclusione e dieci anni di cella non avevano oscurato.
   Morrell, altrettanto buon compagno, era anch'egli una magnifica anima.
   Sull'orlo della tomba, non esitò a proclamarlo alto e forte, senza tema di presunzione: i tre più nobili cervelli che conteneva la prigione di San Quintino, dal direttore Atherton fino all'ultimo ser-