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Il Vagabondo delle Stelle

Jack London
Bietti Milano, 1946, pagine 311

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   IL VAGABONDO DELLE STFI.LE
   47
   Ho fatto, sulle mie mosche, sul loro modo di vivere, sui loro giuochi, ben altre osservazioni, colle quali non voglio importunarvi più a lungo. Ma, fra tutti i fatti che ho potuto notare e che realmente, in quel primo periodo di cella solitaria, han servito un poco a distrarmi e m'han fatto sembrare meno lunghe le ore, ce n'è uno che m'è rimasto impresso nella memoria. La mosca malinconica, che non giocava mai, venne, in un momento di oblio, a posarsi una volta sul punto proibito e fu subito catturata dalla mia mano. Quando la rilasciai, credetemi, essa mi tormentò per un'ora intera col suo volo!
   Così si trascinava il tempo interminabile. Non potevo dormire sempre, e qualunque fosse la loro intelligenza, non potevo sempre giuocare colle mosche. Perchè, insomma, le mosche sono mosche, ed io ero un uomo, con un cervello umano. E questo cervello, attivo, abituato a pensare, pieno di cultura e di scienza, sempre ad alta tensione, ribolliva senza tregua. Voleva l'azione, ed io ero condannato ad una completa passività.
   Prima d'essere imprigionato, durante le mie vacanze, m'ero dedicato ad interessanti ricerche chimiche sulla quantità di pentosio di metilene che contiene l'uva delle vigne d'Asti. Avevo terminato le ricerche, salvo qualche esperienza finale. Qualcuno le aveva riprese ed erano state coronate da successo? Me lo chiedevo continuamente.
   L'universo era morto per me. Nessuna notizia importante arrivava fino alla mia cella. La scienza, fuori, faceva dei grandi progressi, ed io m'interessavo a migliaia di cose. Fra queste, la teoria dell'idrolisi di caseina, trattata colla tripsina, che avevo enunziato per il primo, e che il professore Walters aveva verificato nel suo laboratorio. Cosi aveva collaborato con ma il professore Schleimer,