V.
COLPI NELLA NOTTE.
Quello che scrivo, è naturalmente un po' sconnesso...
Ritorniamo a San Quintino e alla cella solitaria numero I, dove da poco ero stato rinchiuso.
Dapprima, mi sentii disperatamente solo, e le prime ore passarono molto lentamente, i primi giorni mi sembrarono interminabili.
Il cadmino del tempo non era per me segnato che dal cambio regolare dei guardiani, e dal succedersi del giorno e della notte. Il giorno non era che una debole e confusa luce, che tuttavia valeva più della completa oscurità delia notte. Questa luce filtrava appena attraverso la sottile fessura di uno spiraglio, e ben poco in essa restava della brillante chiarità del mondo esterno.
La luce non era mai sufficente perchè fosse possibile leggere, nel suo raggio. Del resto, non avevo niente da leggere. No» potevo che sdraiarmi « pensare. Ero condannato per sempre a questo regime. Sembrava evidente che, a meno di creare da! nulla trentacinque libbre di dinamite, tutto il resto della mia vita sarebbe trascorso in questo nero sHenzla.