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   JACK LONDON
   tal punto che, per farmi attraversare quello stretto cortile, abbagliante di sole, i guardiani dovevano sostenermi sotto le braccia.
   Il mio sguardo e quello di Skysail s'incrociarono, nel nostro comune naufragio.
   Egli sapeva che, parlandomi, infrangeva i regolamenti. Ma la sua anima indomabile non se ne curava.
   — I miei complimenti, Standing, — mormorò con voce spezzata e tremolante. — Sei veramente un uomo. Non hai detto niente della dinamite...
   Con quel poco di voce che mi restava, mormorai a mia volta:
   — Non ne ho mai saputo niente, della dinamite... Credo che non sia mai esistita...
   — Bene, bene... — diss'egli, crollando il capo co me un bambino. — Tu non vuoi parlare, ho capito... Non ne sapranno mai niente... Sei veramente un uomo, Standing, e meriti rispetto...
   I guardiani mi trascinarono via, e non ebbi più occasione di vedere Skysail. Era chiaro che, an-Gh'egli aveva finito col credere a quella immaginaria dinamite.
   (Perchè, adesso, mi trovo qui, non più a San Quintino ma a Folsom, e perchè, fra poco, sarò impiccato? Ora ve lo racconto.
   Non è per quella vecchia storia del professore Haskell, mio collega, che ho ucciso; ma perchè sono stato dichiarato colpevole di vie di fatto contro uno dei miei guardiani. Il mio caso è grave, evidentemente. E contrario alla disciplina carceraria, e severamente punito dal codice.
   Ecco qual'è stata la mia disgrazia. Nell'epoca in cui uccisi il professore Haskell, questa legge non esisteva. Fu approvata soltanto dopo la mia prima condanna. Affermo dunque, per quanto mi riguarda, che l'applicazione retroattiva di questa legge,