Storia della Grande Guerra d'Italia di Isidoro Reggio

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      UN POPOLO SFIDATOera un vero strumento di tortura, affidati ad una scorta di fucilieri. Alla fine, fummo fatti discendere avanti ad un campo solitario nei dintorni di Trento, presso la quale città era un accampamento di soldati.
      Ivi fummo perquisiti e privati di tutto, compreso un paio di migliaia di corone, complessivo ammontare delle nostre risorse pecuniarie. Questa somma, a quest'ora, sarà stata divisa tra i nostri carcerieri improvvisati.
      Ma la parte più tragica della nostra odissea non era ancora incominciata. Da quel giorno — eravamo al 5 settembre — ci si costrinse a furia di bastonate e di piattonate a lavorare come schiavi a sterrare le profonde trincee, che su vasta scala si vanno costruendo attorno a Trento, dove ormai esiste un vasto campo trincerato, in parte dovuto a lavoro coatto di malcapitati italiani requisiti nel modo che è capitato a noi.
      Il lavoro era terribile. Si cominciava alle 5 del mattino, dopo che ci si era data una mezza pagnotta di pan bigio a persona; alle 12 si sospendeva, per un pasto frettoloso, che consisteva in una minestra nauseante, che mangiavamo soltanto perchè costretti dalla fame; dieci minuti ci si concedevano per il nostro pasto, e poi subito di bel nuovo nelle trincee.
      Lavoro da bruti! Lavoro che ci strappava lacrime di sangue! I nostri aguzzini, in tono beffardo, ci incitavano col dire :
      — Non fate i fiacconi! Voi volete farci la guerra! Ebbene, lavorate alle nostre trincee, e lesti, altrimenti esse diverranno le vostre sepolture____Ci era tra noi un uomo corpulento, il professor Gua-glioli, che ansava nel lavorar di zappa e di vanga, e che era fatto segno più degli altri ai sarcasmi dei soldati austriaci. Non ci si consentiva di prendere riposo se non a sera avanzatissima! Erano quattordici, quindici ore al giorno di fatiche spaventevoli, esacerbate dallo strazio, dall'avvilimento di doverci piegare a simile bisogna sotto la ferula degli aguzzini, che minacciavano di passarci per le armi in caso di disobbedienza. Non ci era permesso lamentarci, nè di scambiare una parola fra noi.
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Storia della Grande Guerra d'Italia
Volume 6. Un popolo sfidato (Le provocazioni austriache)
di Isidoro Reggio
Istituto Editoriale Italiano
pagine 187

   

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