Stai consultando: 'Geografia e Geologia ', L. De Marchi

   

Pagina (172/453)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (172/453)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Geografia e Geologia

L. De Marchi
Francesco Vallardi Milano, 1929, pagine 436

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   TEORIA DEL VULCANISMO
   159
   e di Memi ohe sono evidentemente antichi crateri. Un'altra zona comprende le isole vulcaniche di Palmarola, Ponza, S. Stefano, Ventotene, Ischia e ad esse si collegano i Campi Flegrei e il Vesuvio: zona non più longitudinale ma traversale all'Italia, nella cui direzione trovasi anche il Monte Vulture, vulcano spento sul lato orientale dell'Appennino. Alcuni di questi vulcani non danno garanzia di essere definitivamente spenti, perchè il periodo di quiete attuale, dopo l'ultima loro manifestazione, non è più lungo di alcuni periodi di quiete del Vesuvio. Così l'eruzione del Monte Nuovo nel 1538 e il parossismo del 1798 della Solfatara ancora molto calda di Pozzuoli, sono avvisi di una minaccia tuttora permanente nei Campi Flegrei; nell'isola d'Ischia l'ultima eruzione del monte Epomeo risale al 1302, e il grande terremoto di Casamicciola nel 1884, di carattere evidentemente vulcanico, dimostrò che l'attività profonda non è ancora spenta. Lo stesso può dirsi dei terremoti dei Monti Laziali.
   Nell'alta Italia abbiamo la rovina di un grande apparato vulcanico nei Colli Euganei, spenti da epoca geologica, benché le sorgenti termali, di acque fortemente clorurate, che li circondano, possano considerarsi un sintomo di un'attività profonda non ancora spenta.
   51. Teoria del vulcanismo. — La scienza non si è formata ancora un concetto dei fenomeni profondi che preparano le eruzioni, e possono mantenere per lunghissimo periodo di tempo l'attività stromboliana dei vulcani o rinnovare tale attività dopo lunghi periodi di quiete. Finché si ammetteva la fluidità interna della Terra, la spiegazione appariva spontanea, poiché noi vediamo, alla superficie di una massa di metallo fuso, che lentamente si solidifica, riprodursi in piccola scala la serie dei fenomeni eruttivi. Si forma infatti anzitutto una crosta superficiale di scorie; questa si squarcia lungo fessure, donde esce il metallo ancor fuso (eruzione labiale), ma presto le fessure si saldano, salvo che in punti isolati (eruzione centrale), dove il metallo, continuando a uscire con sviluppo di vapori, eleva dei coni eruttivi, con un piccolo cratere alla vetta (fase di dejezione); da questa emanano in quantità sempre decrescente metallo fuso e vapori, poi solo vapori (fase solfatarica), finché il cono si chiude definitivamente.
   Ma noi abbiamo visto che la Terra nel suo complesso è un solido, o meglio si comporta (sotto l'azione attrattiva del Sole e della Luna e nella trasmissione dei secondi tremiti preliminari dei terremoti) come un corpo solido. Noi non possiamo affermare più di questo, perchè sul reale stato fisico delle masse profonde, che sono certamente in condizioni di temperatura, di pressione e in generale di sforzi elastici e di tensioni gasose e osmotiche immensamente diverse, e assai più grandiose di quelle accessibili alle nostre esperienze, tutto si può affermare.
   Si può affermare che la massa della Terra è nella quasi totalità veramente solida, nel concetto comune della parola, perchè, nonostante le alte temperature profonde, una enorme pressione impedisce la fusione dei materiali; e si può affermare al contrario che al disotto di una certa profondità il materiale sia fuso, e, come Arrhenius sostiene, anche allo
   stato gasoso, ma così compresso da impedire la mobilità delle particelle,
   \