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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 93 —
   — E a far che a Pavia? dimandò Leonzio.
   — À studiare.
   — Ma non poteva a Milano?
   — Non poteva, perchè a Milano mancano le scuole pei dottori e per gli avvocati.
   — Ho capito. #
   — Quando il giovane parti da Milano per Pavia, aveva seco sedici svanziche, e nulla più.
   — Poveretto!
   — Raccomandato ad un avvocato, fece il copista, e peggio. Stentò la vita, lavorando da martire, e studiando a un tempo filosofia. Alle scuole fu una meraviglia. — Non basta. — Ebbe onori. — Non basta. — Diventò dottor di leggi, divenne avvocato.
   — Bravo, bravo, bravo!
   — Allora scrisse a sua madre: mettete fuoco ai cesti e alle casse da frutta ; venite a Pavia, e vivremo a-mendue comodamente. — Non ebbe risposta!
   — E perchè?
   — Perchè sua madre era morta! !
   — Oh sventura!
   — Rimasto solo e sconsolato, non cessò di studiare : venne in voce di valente e d'onesto, trovò clientela, si fece largo tra* compagni, risplendente fra i luminari del Foro. Ebbene...
   — Ebbene?
   — Oggi si trova a Torino.
   — Impiegato?