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il discorso, disse ai circostanti; se non v'annoio, toccherò brevemente di due valenti ecclesiastici bolognesi, che nacquero poveri, ma poveri assai.
— L'avremo anzi per favore. Così il signor Teòtimo.
— E Don Ambrogio: presso la chiesa di S. Tommaso del Mercato, in sul 1780 era la bottega d'un barbiere anzi d'una barbieressa ; chè allora in Bologna anche le donne radevano la barba. Questa meschina operaia ed il marito di lei avevano un bambino di nome Camillo, il quale fu posto a scuola a imparare Yàbbiccl. Venutogli alle mani un compendio delle opere del Buffon, ne guardava le tavole, e diceva: questo animale ha quattro zampe, questo ne ha due; questo ha il pelo, questo ha le penne; questo ha i denti, quest'altro ha il becco. E faceva distinzioni da naturalista. Guardava ai pesci e vi notava le squame; guardava agl'insetti e H trovava con sei zampe; e quali con quattro ali, e quali con due. — Insomma era nato naturalista. — Viveva allora a Bologna un certo abate Ignazio Molina, nato al Chili, di là dai monti d'America sull'Oceano Pacifico. Il buon vecchione forestiero l'istruì benignamente; poi l'aiutò a passare a Parigi, dov'era allora (cioè a dire verso il 1810) il più grande naturalista di questo secolo: Giorgio Cuvier, che gli fu, più che maestro, amico.
— Benedetti i maestri siffatti! interruppe Isidoro.—E il narratore seguitò.
— Ritorno un passo indietro. Il giovinetto naturalista,