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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 59 —
   città; e il nostro Croci, che non voleva passar l'inverno nella stalla e udir la fola dell'uom selvatico o delle streghe o de' vampiri, deliberò di mutare atmosfera, e recossi a Bologna.
   — A far poi che? dimandò Biagio.
   — A lavorare da fabbro... ed a studiare. Infatti, il giorno stava alla fucina ed all'incudine, e guadagnavasi il pane, e la sera studiava Storia e Mitologia, e saziava l'intelletto.
   — Ha detto Mitologia? dimandò Isidoro.
   — SI Mitologia, cioè le storie delle antiche divinità e degli antichi eroi, nelle quali sotto il velo della favola si nascondono verità morali degne di essere considerate e seguite.
   — Ora capisco.
   — Pieno di cognizioni e pieno di fantasia, il nostro Giulio Cesare, scrisse in prosa ed in rima storielle, canzoni, dialoghetti, romanzi, de' quali il migliore è quello popolarissimo di Bertoldo e Bertoldino (come vi ho accennato) , il quale nel secolo scorso fu tradotto in bellissimi versi dai migliori poeti bolognesi che allora vivevano.
   — Alla fine fu un cantastorie, disse il cartaio con aria di sprezzo.
   * — Un cantastorie sì, ma non bislacco, non ciarlatano ([rispose con calore il signor Teòtimo); un artigiano inoltre di molta abilità e di buon gusto; e po' poi qualche cosa di più.
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