TI volgare Dantesco, lingua viva
LXI
18.° Da quest'ultimo verso, si variamente letto nelle vecchie edizioni x), cioè, insomma, dall'endecasillabo, che il Poeta defini il ' celeberrimum,... su-perbissimum carmen ', passiamo a un cenno generale sulla lingua di Dante; la quale riesce tanto più mirabile e augusta a noi quanto meglio potuta appressare e, com' ora, quasi d'un guardo abbracciare. Quale ricchezza ne' secoli sperduta, fors'anche per superbi disdegni che non sottrassero altrui da accuse studiatamente volute evitare! e assai spesso quanta maggiore agilità nelle forme vetuste, innanzi che il processo de' tempi le rimutasse ! Ad esempio, senza paragone più frequenti che le voci o frasi odierne avverbiali « primieramente », « secondariamente », « in terzo luogo » e « successivamente », presso il nostro Poeta ricorrono le brevi e sciolte, eppur classiche ed elette se altre mai, « primamente », « secondamela», « terzamente » o « ternamente » e « seguentemente ». Ohe ove si tratti di modi caduti in disuso, anzitutto ricorderò una domanda premessa dal Morandi alla sua « dissertazione sull' Origine della lingua » nostra : « È o non è lingua italiana quella usata da monsignor Giovanni della Casa nel suo famoso Galateo ? Sicuro, è lingua italiana ; e cosi bisogna chiamarla, non foss' altro perché non si saprebbe chiamare diversamente. - Eppure io trovo che la prima parola di codesto libro è un conciossiacosaché', parola che di certo non fu mai usata par-
') Il Casini dà, nell'ultima edizione: « Giacobbe porger»; soltanto a piè di pagina, però, il Witte, nell'ediz. in 4° del 1862, riferiva - e con un interrogativo - « Iacobbe ».