La prosodia nelle « voci barbare »
LIX
Ma qui la morta poesl risurga (Purg. i 7), E qui Calliopè alquanto surga (i 9), Per quello che Cliò teco 11 tasta (xxii 58), Quinci Letè, cosi dall' altro lato Eunoè si chiama (xxviii 130),
dovrebbero valere altresì per fermare la lezione, ancor incerta e l'armonia più probabile, fra altri (cfr. Inf. xi 107 ; xviii 92; xxiii 63; xxxii 27; Par. xxxi 32), dei seguenti:
L'infamia di Cretf era distesa (Inf. xii 12),
Antigonè, Deifilè ed Argia,
Ed Ismenè sf trista come fue (Purg. xxii 110) ;
ma non mi dolgo d'aver, per ora, proceduto diverso in questi casi - pur non escludendo del tutto la regola nemmeno in prosa, come per «Protonoè» -trattandosi di norme ancor poco esaminate.
17.° Le singolarità aumentano, chi passi al vario atteggiamento dell'endecasillabo dantesco - il verso che 'omnium videtur esse superbius, tam temporis occupatione, quam capacitate sententie, constructio-nis et vocabulorum ' - e mi sia concesso di toccarne qui brevissimamente. Anzitutto, una terzina con le tre specie d'accentazione regolare - sulla sesta sillaba, sulla quarta e ottava, e sulla quarta e settima -di che ne'trattati nostri è solo cenno:
Tu m' hai con desidèrio il cor disposto Si al venir con le paròle tue, Ch' io son tornàto nel primo proposto (Inf. ii 136).
L'armonia di quest'ultimo verso doveva riuscire all'orecchio del Poeta poco men normale di quella de' due