Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      1016 • SAGREDO (CONTE) AGOSTINO - SAGÙ*
      SAGREDO (conte) Agostino (biogr.). — Nato a Venezia nei 1797 di nobilissima antica casa; morto a Vigouovo, provincia di Padova, 1*8 febbrajo del 1871. Coltivò con successo l'economia politica, la storia ed altre scienze, dimostrando pronto intelletto, vasta erudizione ed attitudine, onde fu nominato socio del Reale Istituto di Scienze e Lettere di Veuezia. 11 re Vittorio Emmanuele lo creò senatore del regno d'Italia, nella quale qualità parlò non poche volte in quell'alto cousesso di materie economiche ed amministrative. Si hauno di lui varii ottimi lavori, usciti in luce con plauso degli intelligenti, fra i quali meritano special menzione quello Sulle consorterie delle arti edificative in Venezia, ed i ricordi storici, inseriti nei preziosi volumi intitolati Venezia e le sue lagune. Le virtù private ornarono pure l'animo di questo egregio patrizio, il quale lasciò fama di ottimo cittadino e di eruditissimo uomo.
      SAGREDO Niccola e Giovanni (biogr. e stor. venez.). — Niccola Sagredo, di cospicua famiglia veneziana, era procuratore di San Marco allorché fu eletto doge il 6 febbrajo 1675, e succedette a Domenico Contarini. Nulla del suo regno riferisce la storia che degno sia di menzione: mancato ai vivi dopo diciannove mesi di governo, il fratello di lui Giovanni fu scelto in sua vece; ma i potenti nemici che aveva nell'ordine della nobiltà riuscirono a far annullare la sua elezione, sotto pretesto che pericoloso era di vedere il trono ducale successivamente occupato da due fratelli. Gli elettori già annunziavano dall'alto de) balcone del pubblico palazzo la sua elezione, allorché il popolo, facendo uso ad un tratto d'un diritto caduto in disuso da lunga pezza, gridò d'unanime voce: Noi volèmo (non lo vogliamo). Questo personaggio che aveva già resi segnalati servigi alla patria coli'opera e col consiglio, che era stato inviato dalla Repubblica nel 1650 presso Cromwell, e nel 1656 presso Luigi XIV, provò, dicesi, tanto dolore di un tale affronto, che usci di Venezia giurando di non più farvi ritorno. Ritiratosi in una campagna sulle sponde dell'Adriatico, si diò allo studio, e diè in luce una storia dei Turchi col titolo Memorie istorici dei monarchi ottomani (Venezia 1677, in 4°), la cui voga fu dolce conforto alle sue amarezze. Francesco Morosini divenuto capo della Repubblica, trasse Giovanni Sagredo dal ritiro, e lo nominò (1696) provveditore generale dei mari del Levante; ma già avanzato in età, egli non esercitò a lungo una carica la quale esigeva attività indefessa, e mori poco dopo. La storia del Sagredo, che dal 1300 monta al 1646, ben mostra che l'autore era uomo istrutto, giudizioso, e nudrito della lettura degli antichi ; pecca nullameno di troppo palese avversione ai Turchi. Questa storia fu voltata in francese. Scrisse altresì il Sagredo un Trattato dello Stato e del governo di Venezia ; ma vi narrava le cose troppo sinceramente, e con soverchie particolarità, si che il Governo pensò bene a non permetterne la stampa.
      SAGRIFIZIO {etic.). —• L'adempimento del dovere, che é la suprema legge morale, implica spesso l'abbandono di alcuna cosa cara, giacché il bene morale si trova non di rado in contrasto col beneaffettivo, cioè col piacevole; quindi ne viene la necessità del sacrifizio, il quale, compiuto cbe sia, costituisce il merito, il carattere della santità, la più sublime bellezza. Siccome il navigante per salvare la nave che sta per affondare fa getto delle robe anche preziose; cosi l'uomo deve spogliarsi degli affetti anche più teneri quando sono di ostacolo a compiere deguameute il suo ufficio. Qui non v'ha mezzo: o bisogna uscire dalla retta via che tende al bene, o vincere le difficoltà che ne attraversano il cammino. E non sono rare le occasioni di avere ad eleggere tra questi estremi; imperocché le potenze fisiche e morali dell'uomo, sebbene da natura ordinate a vicendevole ajuto, traggono in parti diverse la volontà, e spesso quello che è più piacevole si trova più lontano dal vero bene. Tutti gli umani bisogni debbono bensì essere soddisfatti ; ma v'ha certa misura per ciascuno, oltre la quale tutto è vizio; e come il supremo bene è la morale perfezione, non v'ha soddisfacimento che ad esso non debba in ultimo mirare. Pertanto si rende moralmente necessario il sacrifizio sempre-chè non è possibile senza di esso attendere al perfezionamento ; e come la vita stessa non ci é data se non per questo fine, la morte ste sa dobbiamo in< o itrar volenterosi ogniqualvolta la conservazione propria è condizionata da atto immorale. Profonda mente convinti di questa necessità, gli eroi che hanno versato il proprio sangue per la salvezza della patria, il trioufo della religione e della verità, tutto hanno sacrificato, ed il mondo li tiene in conto di salvatori, di martiri, di santi. Tuttavia non solamente le vittime immolate sull'altare del dovere hanno il sublime merito dell'umana perfezione , perocché possiamo anche giungere ad uguale altezza sacrificando con perpetua costanza gli affetti minori che ci legano alla terra e praticando del continuo le umili virtù della vita. Infatti sono pur circondati dall'aureola di santità quelli che sempre hanno combattuto contro le seduzioni dei beni fallaci e caduchi, da cui gli uomini sono tanto più facilmente ingannati quanto meno hanno sembianza di perniciosi, e solamente allora hanno lasciato il campo che vennero chiamati a godere il premio di loro opere virtuose.
      In tempi di generale corruzione la necessità del sacrifizio è da ben pochi sentita, ed il maggior numero appagando anzitutto i più bassi bisogni, li accresce viepiù e sacrifica il fine ultimo agli appetiti che solamente per mezzi la natura ha dati. Perciò il sacrifizio si rende così raro, cbe la moltitudine deride chi lo offre, finché l'egoismo, messo in guerra ogouno contro tutti, sfascia la società, la quale non perisce già, ma si purga poi in nn graude olocausto di cui la Provvidenza stessa, tanto contrariata dagli uomini nelle sue vie, si & inesorabile sacrificatrice. Dalle ceneri quindi risorge più bella la nuova società, e colla freschezza giovanile spiegasi l'entusiasmo della virtù e torna in onore il sacrifizio.
      SAGÙ' (bot. ed econ. domest.). — Chiamasi sagii un genere della famiglia delle palme, che comprende un picciol numero di specie, le quali crescono sia isolatamente, sia in folte foreste nei luoghi marittimi dell'Asia, dell'Africa e dell'America interro-
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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume XIX (parte 3)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1885 pagine 1280

   

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