Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      ROMA
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      l'Italia sa'due versanti, Tirreno e Adriatico. Le suddette marne, sabbie e ghiaje formano una zona assai continua in diversi luoghi alla base dei monti calcarei circostanti a Roma, ove appajono in istrati orizzontali o poco inclinati. Essasi mostra poi sulla sinistra del Tevere in una zona lunga più di 12 chilometri e larga circa uno, che, sorgendo per un sistema di spaccature di mezzo al tufo vulcanico, forma il monte delle Piche presso la Magliana, ed a Roma stessa la serie dei colli Gianicolo, Vaticano e Mario. Importantissima è tale formazione per Roma, perchè offre abbottante, ed alle porte medesime della città, l'argilla ivi detta creta, la materia prima delle fabbriche di mattoni, i quali, cou alcuni altri materiali, sono assai adoperati nelle sue costruzioni. Come parte della formazione pliocenica, ma di età antica, conviene citare una calcarea conchigliare biancastra, chiamata volgarmente macco, e che si principia ad usare con qualche frequenza in Roma, tanto in scampoli che da taglio, che cavasi ora nelle vicinanze della costa sopra Palo. Sui colli della sinistra del Tevere osservansi ghiaje e brecce calcaree che ricoprono qua e là le marne e sabbie plioceniche, i quali depositi torrentizi indicano un'epoca di forti correnti, succedute ai tranquilli depositi marini. Secondo il Ponzi, questo periodo potrebbe corrispondere alla così detta alluvione antica della vallata del Po e di alcune vallate dell'Appennino, con cui ebbe principio l'epoca glaciale; ed allora simili ghiaje, insieme coi potenti tufi che le ricoprono, potrebbero ascriversi all'epoca post-terziaria, ossia pleistocenica. Le argille e sabbie, con le ghiaje selcifere suddette, sono generalmente ricoperte da vastissimo deposito di tufi vulcanici di una potenza notevole, formanti propriamente il sottosuolo di tutta quella vasta regione, dai monti Sabini sino presso alle alture littoranee. Che anzi tale deposito si protende poi al nord-ovest per oltre 120 chilom. sino oltre Bolsena ed Acquapendente, ed al lato opposto sino ai monti di Terracina; e seguendo in questa direzione meridionale, dopo qualche interruzione di monti calcarei, riprende vastissimo intorno a Napoli, dove costituisce tutta l'estensione dei campi Flegrei, come pure la base del Vesuvio. Questa importante formazione è costituita da detriti vulcanici generalmente feldispatici e pumicei, con frequenti cristalli e frantumi di leucite, ossia antigene ridotta allo stato farinoso, e con rari elementi pi-rossenici. Tali detriti brecciolari formano veri banchi assai estesi che indicano una stratificazione avvenuta in seno alle acque. Il colore dei medesimi è generalmente giallo-bruno o rossigno; la tessitura e la consistenza molto varia. Quando la massa è sufficientemente solida, costituisce, sotto il nome di tufo litoide, un discreto materiale di costruzione, cavato a poco costo nei dintorni stessi di Roma, come a Monte Verde e Santa Agnese, ed impiegato in talune parti delle costruzioni murarie. In certe regioni, per esempio al sud-est di Roma, fuori la porta San Sebastiano e lungo la via Appia, si mo- , stra intercalata ai tufi pumicei una brecciola inconsistente e di color rossigno, conosciuta col nome di pozzolana rossa. La sua proprietà di fare forte presa, quando impastata con calce, ne fece sinoab antico estendere l'uso per la muratura, tanto idraulica che ordinaria. Grandissimi scavi se ne fanno col mezzo di lavori o superficiali o sotterranei , per cui, oltre il consumo di Roma, se ne fa un'assai vistosa esportazione nel resto d'Italia ed anche nei pa esi stranieri.
      L'uomo fu poi spettatore di due diversi e tremendi fenomeni, che si svolgevano ampiamente nel suolo romano, subito dopo l'emersione dei tufi pumicei, cioè durante l'epoca quaternaria, cbe già correva prima delle eruzioni vulcaniche. Quei due fenomeni sono le eruzioni del grande vulcano Laziale e le poderose correnti che dall'Appennino proseguirono a versarsi io mare, devastando e solcando l'altipiano tufaceo. Tali correnti seguitavano di preferenza le spaccature o faglie che nel terreno medesimo si erano manifestate durante il preaccennato suo sollevamento. Le principali faglie sono la vallata stessa del Tevere e quella del suo confluente. l'Aniene, che vi converge poco a monte di Roma. Il risultato di siffatte faglie, sovrattutto di quella tiberina, appare evidentissimo nella stessa sezione geologica della città fatta trasversalmente al fiume. Il fianco destro, sollevatosi assai più del sinistro, mostra allo scoperto le marne e ghiaje plioceniche appena coronate da poca spessezza di tufo sulla vetta del Gianicolo e del Monte Mario; laddove il tufo, in cambio, è affatto dominante sul fianco sinistro, rimasto più basso, e vi forma interamente i sette colli e tutta la campagua all'intorno. Le argille e sabbie plioceniche ritrovansi bensì anche in quel lato, ma ad una certa profondità, come lo manifestarono gli scavi intrapresi in più luoghi per fondazioni, cioè press'a poco a livello dell'alveo attuale del fiume. Gli effetti dei due indicati fenomeni quaternari! sono di grande entità ed importanza.
      Il vulcano Laziale che ne risultò è un gran cono, la cui base ha un diametro di almeno 20 chilometri, e più di 10 la bocca o corona superiore, con quasi 1000 metri di altezza; esso è di genesi subacquea, come il dimostrano le sue falde interamente formate di piogge di ceneri e lapilli. Il vasto suo cratere superiore ne contiene altro minore nel mezzo, detto il campo d'Annibale, il quale indica un secondo periodo di eruzione. La natura delle materie eruttate da questo vulcano Laziale è alquanto diversa da quella delle materie dei vulcani subacquei sabatini, mostrando le sue lave, almeno le più antiche, un predominio di pirosseno e di granato, che pareva renderle pastose e poco fluenti. Nei lapilli poi si trovano abbondantissimi sempre i frantumi di calcare ridotto allo stato cristallino e probabilmente strappato a graudi profondità. Nel secondo periodo, quello cioè del cratere interno, emersero invece nuovamente lave assai anfigeniche e fluidissime, taluna delle quali, partita dall'alto del cratere, scese con un corso di 20 chilometri sino quasi alle porte di Roma e più specialmente presso il sepolcro di Cecilia Metella. In essa è aperta la cava di Capo di Bove, da cui si estraggono i pezzetti piramidali, detti selci, tanto usati nel lastricare le vie della città. Altre eruzioni ancora uscivano da questo vulcano e da varie parti de' 8noi fianchi, seguite probabilmente da sprofon*
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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume XIX (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1885 pagine 1280

   

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