Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DEMOSTENEil protettore della Grecia, e difendesse coll'oro e col sangue l'indipendenza e la libertà degli Stati ellenici. Strascinati dalla foga delle nobili e severe parole dell'oratore evocante un passato di gloria e libertà, accettarono gli Ateniesi con entusiasmo gli onori e le incombenze di simile protettorato; ma il loro ardore si spegneva ben presto, non avendo altro risultato che quello di sforzi incoerenti ed inefficaci. L'imminente pericolo poteva esso solo strappar loro risoluzioni degne dell'antica Atene, ma erano troppo tarde per sortire l'effetto desiderato. La prima Filippica adunque non peggiorò per nulla le condizioni del re macedone, che potè ridersene impunemente, attaccare, nel 349 av. Cr., la città di Olinto, espugnarla nel seguente anno, e privare così gli Ateniesi della loro ultima piazza forte al N., ad onta che avessero fatto sforzi non comuni per salvarla, mossi da tre successive ambasciate degli Olintii e dalle tre orazioni olintiache di Demostene ; ma dovettero pur ritirarsi per un tradimento ordito entro la stessa Olinto, e lasciarla, nel 348 av. Cr., in piena balìa del conquistatore (Dem., De fals. leg., p. 426 ; Dionys., Ep. ed Amm., i, 9).
      IX. Astuzia e prodezza di Filippo. — Costui conduceva di pari passo le fazioni guerresche colle trattative di pace, e quindi, durante ancora l'assedio della città or mentovata, esternò il desiderio di pacificarsi cogli Ateniesi, ed anzi di stringersi con loro in alleanza. Divenuto padrone di quella, rinnovò la sua offerta, ed il popolo ateniese inviogli subito, per suggerimento di Pilocrate, un'ambasciata, di cui facevano parte i due emuli Demostene ed Eschine. Non si sa quale fosse l'oggetto preciso dei negoziati degli ambasciatori, perchè dalle orazioni dei due rivali intorno all'ambascieria (rapì TraponrpecSsias) poco si ricava di chiaro e sicuro ; ma aveva probabilmente di mira i Focesi e i Tebani, involti allora in una guerra di esterminio, e gli Ateniesi, alleati dei primi, devono aver chiesto per certo d'inchiuderli nel trattato di pace e di alleanza. Questo era più di quello potesse Filippo accordare, avendo di già egli decisa la rovina dei Focesi ; ciò non ostante dovette calmare gli ambasciatori a forza di promesse, esponendo in pari tempo che i suoi rapporti con Tebe e colla Tessaglia non gli consentivano dichiararsi apertamente in favore dei Focesi. Al ritorno di Demostene e de' suoi colleghi, la pace, discussa in due consecutive assemblee popolari, fu votata, sancita e giurata alla presenza degli ambasciatori di Filippo. Fu mosso poscia rimprovero da Eschine al suo rivale di avere affrettato tanto la conclusione della pace, da non lasciare agli alleati neppure il tempo necessario per assistere alle deliberazioni dell'assemblea; ma fu parto di malevolenza, perchè Demostene, conoscendo l'umore del re macedone, stimò bene far fretta, per il modo assai vago con cui erasi questo espresso riguardo ai Focesi (De fals. leg., p. 346; De coron., p. 232). In qualunque maniera, del resto, facea mestieri di rapida decisione, perchè Filippo era allora in guerra con Cersoblepte re di Tracia, e ad onta delle ripetute promesse di non danneggiare gli Ateniesi, avrebbe potuto di leggieri stendere le mani sui costoro territorii nel Chersoneso tracio ; e quindi era necessario che confermasse con giuramento, al più
      presto possibile, il trattato di pace sancito dal popolo ateniese. Demostene adunque adoprò da buon cittadino affrettando la definitiva stipulazione ; ma non così Eschine e quei del suo partito, i quali padroneggiando la novella ambasciata diretta a Filippo per la ratifica, sedotti da turpe venalità, viaggiarono con somma lentezza, come se non si trattasse d'imminente pericolo, ed invece di scerre la via più corta per mare, preferirono quella di terra. Demostene, viaggiante in loro compagnia, sprona-vali a far presto, ed essi ad indugiar sempre più, perchè, giunti alfine in Macedonia, stettero tranquilli ad attendere il reduce monarca, e così trascorsero miseramente tre interi mesi. Ritornato finalmente Filippo, protrasse il dì del giuramento fino al termine de' suoi apparecchi militari contro i Focesi ; poscia, accompagnato dai suddetti ambasciatori, si diresse per la Tessaglia, e non ratificò il trattato se non se giunto in Fere, escludendone i Focesi. Restituitisi gli ambasciatori in Atene, Demostene accusò subito e coraggioso il tradimento de' compagni, ma senza prò, chè Eschine ebbe l'abilità di calmare il popolo e persuaderlo ad attendere gli avvenimenti. Filippo intanto passò le Termopili, e senza colpo ferire pose fine, nel 346 av. Cr., alla decenne guerra sacra, si fe' annoverare fra gli Anfìzioni, anzi ne fu fatto presidente, e radunatili a consiglio, ottenne contro i Focesi un decreto di estermiuio. Gli Ateniesi protestarono e corsero alle armi, e Filippo, vista la mala parata, si ritirò nell'avita Macedonia, chiedendo soltanto dai varii Stati della Grecia la conferma della sua elezione a membro della lega anfizionica. Il popolo ateniese, convocato a deliberare in proposito nel 346 av. Cr., era ondeggiante nel risolvere ; allorché Demostene, presentatosi all'assemblea, recitò la sua magnifica orazione della pace (rapi £ip7jvyj<;), riassumendo i molteplici argomenti in questa sentenza : c Non si doveva fare la pace ; ma fatta, è duopo ossei varia, ed è per noi mezzo di ristorare le forze e procacciarci alleati ; non porgiamo pretesto agli Anfìzioni venduti a Filippo di decretare la guerra contro Atene, e di armare contro di questa tutti i popoli della confederazione ellenica ». A coloro poi che mostravansi pronti a sfidare siffatti pericoli, per la smania di contrastare a Filippo un titolo illusorio, che nulla aggiungeva alla sua possanza, l'oratore rammentava che « Atene, per conservare la pace, aveva ceduto Oropo ai Tebani, Anfipoli a Filippo, Coo, Chio, Rodi alla Caria, ed oggi non vorrebbe certo perigliarsi in una terribile guerra per una ombra in Delfo », terminando così il suo discorso coll'alludere al popolare proverbio di fai' ressa per l'ombra di un asino (rapì ovou axta?).
      X. Apice di potenza oratoria e politica. — Dal complesso dell'orazione si scorge che Demostene cedeva di mala voglia a Filippo, rampognando in generale i suoi concittadini, e riversando tutta la sua collera sui colleghi di ambasciata e sulla fazione capitanata da Eschine, venduto ormai all'oppressore straniero. Gli facevano eco Licurgo, Iperide, Po-lieutto, Egesippo ed altri ragguardevoli cittadini, dai quali inanimato, e fidente nella giustizia della sua causa, salì ben presto all'apice della politica ed oratoria importanza, sendo convinto il popolo
     


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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