Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DECIO TRAJANO GN. MESSIO QUINTO - DECISIONE
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      II suo esempio fa seguito da suo figlio, il quale, console per la quarta volta, peri nello stesso modo, l'anno 295 av. Cr., in una guerra contro i Galfì; e dal suo nipote, anch'esso console, che si consacrò alla morte, nell'anno 279, combattendo contro Pirro.
      DECIO TRAJANO Gn. Messio Quinto (biogr.). — Nato nel 201 dell'era nostra, a poca distanza da Sirmio nel'a Pannonia, erasi inalzato col suo merito e col suo valore dalle ultime file dell'esercito sino agli onori del consolato, quando l'imperatore Filippo lo mandò nella Mesia per estinguere una ribellione scoppiata a favore di Carvilio Massimo. Decio, invece di obbedire, assunta la porpora, mosse contro il sovrano che aveva in lui riposta la sua confidenza, e Filippo fu vinto ed ucciso presso Verona nel mese di ottobre del 249. Il nuovo imperatore si segnalò contro i Goti, gl'Illirii e i Persi ; ma finalmente ingannato da un falso avviso di Gallo, che mirava a succedergli sul trono imperiale, s'impacciò una palude inseguendo con troppo ardore l'esercito dei Geti e vi perì con tutti i suoi, trafitto dalle frecce dei Barbari, nel 251, dopo un regno di soli due anni. Il Senato gli aveva dato i soprannomi di Tra-jano e di Ottimo a motivo della sua giustizia e dell'esemplarità de' suoi costumi. Gli si rimprovera tuttavia con ragione, oltre l'ambizione che lo fece reo di tradimento, di avere, per odio del suo predecessore Filippo, perseguitato i cristiani con?implacabile accanimento. Si pretende che facesse ricostruire le mura di Roma, e che ristabilisse la carica di censore. Sotto di lui si cominciarono a notare con minore esattezza i titoli degl'imperatori sulle medaglie.
      Fig. 2032. — Medaglia di Decio Trajano. Grandezza vera (rame, gr. 365 1/J.
      Egli aveva creato cesare suo figlio Q. Erennio Etrusco Messio Decio sin dal 249, e nel 251 l'associò all'impero. Questo principe perì lo stesso anno in Tracia in una guerra contro i Goti, dopo di aver riportato qualche leggiero vantaggio.
      DECIO Filippo (biogr.). — Giureconsulto milanese di gran fama, che fiorì nel secolo xv. Nacque nel 1453 d'illegittima unione, al dire del Panciroli, e visse sino al 1535. A ventidue anni fu destinato a leggere istituzioni in Pisa. Erudito, acuto, facondo, facile nel deridere e motteggiare graziosamente gli awersarii, rese presto deserte le altre cattedre, accorrendo tutti gli scolari ad udirlo. Insegnò poi il diritto civile in Pistoja ed in Siena. Innocenzo Vili lo chiamò a Roma e nominollo auditore di Rota ; ma non volendo ivi prendere gli ordini sacri, tornò a Pisa. La Signoria di Venezia lo chiamò poscia a professare il diritto canonico a Padova. Caduta Milano in potere dei Francesi, Luigi XII lo chiese aiNuova Encicl. Ital. Voi.
      Veneziani, i quali resistettero, ma poi lo lasciarono andare, e sett'anni lesse in Pavia. Nelle brighe tra il re di Francia e Giulio II, il Decio prese gran parte al sinodo di Pisa, e fu scomunicato. Lasciata dai Francesi l'Italia, si riparò a Lione, onorato ovunque passava in modi straordinari, e nominato membro del Parlamento di Grenoble, passò a interpretare il diritto civile in Valenza nel Delfinato. Ivi confutò un libro che il cardinale Gaetano aveva pubblicato contro i cardinali raccolti in Lione. Morto Giidio II, Leone X, stato suo scolaro, lo assolse dalle censure e lo invitò a Roma a leggervi diritto canonico; ma Francesco I non volle che si partisse, promettendogli una cattedra in Pavia e la dignità senatoria, ricuperato che avesse Milano. La guerra lo costrinse a recarsi a Pisa, dove cominciò le sue lezioni con incredibile applauso. Il Senato di Milano, l'Università di Avignone e i Veneziani tutti corsero a fagli magnifiche profferte; ma egli continuò a leggere colà sino alla morte.
      Nel Panciroli, nell'Argelati e nel Fabbrucci si può vedere il catalogo delle molte opere legali da lui composte e stampate. Dalla gara delle Università e de'principi nell'invitarlo, dalle gravi contese che per ciò ebbero tra loro, e dagli straor-dinarii stipendi che gli furono assegnati, dobbiamo argomentare ch'egli fosse veramente il maggiore giurisperito del suo tempo.
      DECISIONE (giurispr.). — Risoluzione presa, o sentenza pronunciata sopra qualche oggetto controverso o dubbio.
      Le decisioni emanano dal legislatore, dagli amministratori, dai giudici o dagli arbitri.
      Le decisioni del legislatore obbligano tutto lo Stato allorquando hanno per oggetto di determinare il senso oscuro di una legge ; ma quando una tale decisione interviene soltanto nell'interesse privato, allora non obbliga bo non coloro ai quali si riferisce.
      Le decisioni amministrative emanano dai varii ministeri; ovvero dagli amministratori inferiori, giusta la loro competenza; nel primo caso si chiamano decisioni ministeriali, nel secondo usualmente si distinguono col nome di decreti.
      Le sentenze dei magistrati nelle controversie giudiziarie si dicono pure decisioni, e non è molto tempo che si stendevano in latino : ora però è invalso l'uso di compilarle nella lingua del paese. Negli Stati della Chiesa e presso i tribunali ecclesiastici si continua tuttavia a far uso della lingua latina. Tutte le decisioni giudiziarie debbono essere precedute dai motivi della sentenza ; è questa una disposizione molto savia, mercè la quale le parti hanno la soddisfazione di vedere su quali ragioni si appoggia la decisione del magistrato, e la scienza ne trae molto vantaggio per determinare le massime della giurisprudenza.
      In varii Stati anticamente era prescritto che le decisioni dei magistrati avessero forza di legge, ove fosse mancato nei casi speciali il disposto delle leggi e degli statuti locali. Era questo un grave errore in fatto di legislazione, poiché venivansi in tal modo a perpetuare nella giurisprudenza false dottrine e pregiudicevoli applicazioni di principii. In oggi l'autorità della cosa giudicata non ha luogo, se non T1L 13


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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