Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      (uomo di casa, capo, padrone di casa, domintts), e quindi il primo storpiatura del secondo. Il d s'inserisce inoltre di buon grado tra n ed r, per esempio, dal latino ciner-is si fece il francese cendre (cenere), da gener (genero) gendre, da tener (tenero) tendre, ecc., e per la stessa ragione vi sono i futuri francesi viendrai (verrò), tiendrai (terrò), invece di venir-ai, tenir ai.
      6° Il di davanti una vocale cangiasi in g od j, per esempio, Dianus o Janus, il dio della luce, del giorno (dies) nella romana mitologia, e Diana o Jana, la dea della luce, come Jupiter è lo stesso che Diespiter, mentre il latino hodie è l'italiano oggi. Talvolta in simili cangiamenti si preferisce e a <7, e specialmente in greco, italiano e tedesco, per esempio, per £ta; e quindi Saio (vivo) è in correlazione con Statra (modo di vivere, vita, dieta, ecc.\ ed una stessa città sulla costa di Africa appellavasi indistintamente dai Latini Hippo Zarytns ed IUppo Diarrhutos.
      7° Du davanti ad una vocale cangiasi in b e v, per esempio, da duontis si fece bonus, da dui $ bis e A&Duilius sovente Bilius, come da dui-ginti (venti) viginti (V. B). Fondasi su questo principio il cambiamento di d in v nelle parole suavis, suadeo, fj&s (dolce, soave, mite, giocondo, ecc.), cìavis e clauio, ecc.
      8° Incontransi anche varii esempi, in cui il d scambiasi colle due altre medie, col b, come nel latino barba, veibum, inglese board, word; col g, come nel greco A'/iunfop da ^ e utof (madreterra), e parimente in nr^ó? per ^rjó; (faggio), e nei due nomi della città di Cartagine, l'uno in latino Carthago, l'altro in greco K«p/r^o>v, ed è pur frequente nel favellare dei bambini lo scambio del d col g.
      9° Il d fiancheggiato da vocali scomparisce ben di sovente nel pas. aggio che fanno i vocaboli dal latino al francese, per esempio, da Mclodunum, Ludovicus, vadum, vadis, medius, fides, nudus, cauda, assidete, ridere, ci trassero le voci francesi Melun, Louis, gue (guado), vas, ini, fui, nu, queue, asseoir, voir.
      10° Rispetto all'italiano giovi particolarmente avvertire che il d si proferisce di dai Toscani e de dai Romani, Lombardi, ecc., e che ha grande affinità col t, e perciò dalle parole latine latro, potestas, litui, si fecero volontieri le italiane ladro, podestà, lido, riescendo agl'Italiani più dolce il suono del d che quello del t. Il d, oltre alle vocali, ammette dopo di se il solo r, tanto in principio, quanto in mezzo alla dizione, e nella stessa sillaba, perdendo però alcun che di suono, per esempio drago, salamandra, drappo, dritto, droga, drupa, Diandra, calandra, cilindro, ecc., senza citare i nomi proprii di Cassandra, Fiandra, Londra, ecc. Ne si rifiuta di ricevere avanti a sè, nel mezzo della parola, ma in diversa sillaba, le lettere l, n, r, s, per esempio, geldra, bando, verde, disdicevole, falda, ghianda, orda, disdoro, ecc. Ma ben di rado incontrasi s davanti d in mezzo di parola, e quasi sempre nei verbi compo. ti colla particella dis, per esempio, disdire; nel principio invece trovasi più di frequente, per esempio, sdegno, sdentato, sdebitato, sdolcinato, ecc., ed s devesi sempre pronunciaredolce in tali casi e più rimesso, come nella voce accusa; finalmente si raddoppia nel mezzo, quando faccia mestieri per esempio, freddo, addurre, addetto, addizione, addestrare, addentare, addiman-dare, ecc. Serve anche per eufonia, specialmente nel segnacaso a, cui si attacca quasi sempre dinanzi alle vocali, per esempio, ad un fine, ad una voce, ad eternare la memoria, ad esternare Tuffetto, ecc. ; ed i poeti se ne valgono eziandio nelle particelle che, né, se, o, benché, dicendo ched, ned, sed, od, ben-ched, per esempio, Se fia tostano il mio redire sì, eh ed io miri la bella gioja (Gin. Pist.) ; Ned ella a me per tuffo il suo disdegno Torrà giammai, ecc. (Petr.) ; Sed ella non ti crede, Di' che domandi amor, srd egli è vero (Dant., Cam.).
      Ritornando ora alla primitiva origine del d, noteremo che il delta (A) fu una delle sedici lettere del primissimo alfabeto greco (V. Alfabeto), la cui invenzione fu attribuita da Tacito a Palamede, e che gli Etruschi, più antichi dei Greci, ne difettavano, supplendovi col T, come scorgesi quasi sempre nei pochi monumenti che di essi rimangono. Il triangolo formato dal delta è nelle antiche iscrizioni più o meno regolare, a seconda dell'età in cui fu scolpito od inciso, e si raccolsero di già parecchie iscrizioni doriche, joniche ed attiche, nelle quali la sua forma è quasi identica col nostro 1). Gli Arabi hanno quattro lettere, che riproducono altrettante volte, ma con modificazioni di aspirazione ed enfasi, il 1) latino, e sono dal, dznl, dhal e dha. La prima di quec te, che ha l'ottavo posto nell'ordine odierno della eia-sificazione dell'arabico alfabeto, aveva originariamente il quarto, come in tutti gli altri semitici, venendo ciò indicato tuttodì dal valore numerico che conservò. Nell'alfabeto devanagari o sanscrito il 1) corrisponde egualmente a quattro diverse lettere, due delle quali (l'una aspirata, l'altra tenue) appartengono alla classe delle linguali o cerebrali, e due a quella delle dentali, combinandoci inoltre anche col J nelle due lettere della classe delle palatine. La forma ch'esso presenta nell'alfabeto persiano-sansanide e che fu paragonata a quella del numero 3, parrebbe essere l'imitazione di una ili quelle del 1) sanscrito. Sembra che il d non abbia avuto equivalenti speciali nella scrittura runica degli antichi Scandinavi, dove confondevasi probabilmente col t. Manca affatto ad alcuni j>opoli nordici, come i Finiti ed i Lapponi, che stentano distinguere le molli dalle forti, o per meglio dire le conanti dalle mute; ma predomina invece in parecchie altre lingue, per ec empio, in quelle degl'indigeni dell'acrocoro messicano e nel quicua dell'America meridionale ; è però la sola delle sonanti appo gli Uroni, ed in Europa abbiamo popolazioni intiere che hanno il vezzo di sostituire all'articolazione del d quella del t, per esempio, in gran parte della Germania. Anche i Latini riconoscevano l'affinità ch'esiste fra queste due lettere, come dalle voci Abxanter e quodannis per Alexander e quotannis (Quintil., i, 4), servendosi sovente del d per avere l'eufonia, attesa la sua dolcezza, per esempio, nel verbo composto prosum inserivano il d ogniqualvolta il verbo stesso cominciava colla vocale, e dicevano quindi pro-d-es, pro-d-ero9 prò d-esseì ecc. Anche i Francesi scambiano nella
     
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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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