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La Divina Commedia
Paradiso
Biblioteca del Popolo
Sonzogno Milano, pagine 62

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   I.A DIVINA CO.MMP.DÌ <
   mondo ; «; non si considera come ries^-a gram a. Dio chi umilmente la segue. I predicanti favoleggiano della luna e delle eclissi, anziché annunziare la Buona Novella ; e le pecorelle tornano dal pascolo pasciute di venti, nè le può scusare l'ignoranza delle cose necessarie all'eterna salute. »
   Tornando all'argomento delle angeliche creature Beatrice spiega che il loro numero è inaccessibile non solo all'espressione, ma al concetto dei mortali. «La luce divina è ricevuta dagli angeli — prosegue Beatrice — in tanti modi diversi, quanti sono gli angeli stessi a cui s'accoppia. Ed essendo l'amore effetto della Visione, questo amore è dagli angeli diversamente sentito. Considera dunque l'altezza di Dio che ha fatto di sè tanti specchi, pur rimanendo indivisibile e uno. »
   CANTO XXX.
   Come in sull'avanzar dell'aurora dileguano a poco a poco le stelle, i nove cori angelici si spengono all'occhio di Dante. E questi, indotto dal non veder più nulla e dal solito impulso d'amore, torna cogli occhi a Beatrice. La bellezza della Donna Beata, in quest'ultimo cielo, trascende non solo l'intendimento dei morta/i, ma si fa accessibile solamente al Signore; e il ricordo del dolce viso rende la memoria del poeta minore di sè medesima. Ora più che mai egli si sente incapace di tener dietro col carme a tanta perfezione; ed Ella, trasfigurata, gli annunzia che ormai sono giunti all'Empireo, al regno di luce, d'amore, di letizia, in cui siedono gì: anceli e i beati: questi ultimi nelle imaffini corporee.