IL PARADISO
Dante capisce questa legge del divino amore sugli spiriti; ma vuol sapere perchè proprio quella luce e non un'altra, sia stata predestinata a venire a lui e a parlargli. E la luce roteando raggiante in se stessa: a Per irradiazione — risponde — del Lume divino, congiunta colla virtù visiva della mia vista intellettuale io posso tanto innalzarmi su di me stesso da vedere l'Essenza divina. Da questa visione procede l'allegrezza di noi beati. Ma nessuno di noi potrebbe però soddisfare alla tua domanda, poiché ciò che tu cerchi si inabissa nell'imperscrutabile decreto di Dio. E quando ritorni nel mondo, riferisci questa nostra impotenza, affinchè i mortali disperino di giungere a ciò a cui non possiamo pervenire noi stessi. » Dopo ciò, il poeta domanda alla luce contezza di se stessa. « In Catria sorge un eremo, in cui io trassi fra penitenze e salmi la vita contemplativa. Quel chiostro rendeva un tempo molte anime ai cieli ; ma ora non ne rende più, perchè vuoto di buone opere. Tn esso io fui Pier Damiano, e nella casa di Nostra Donna in Ravenna mi chiamai Pietro Peccatore. Nell'ultimo tempo di mia vita fui tratto a quel cappello cardinalizio, che ora si muta d'uno in altro, ma sempre di male in peggio. Ahimè ! Gli apostoli Pietro e Paolo, magri e scalzi, mangiavano un tempo il cibo, ovunque capitassero. Ma ora, i pastori moderni son tanto grassi che hanno bisogno di rincalzi, e cogli ampi manti fastosi ricoprono i loro palafreni, cosicché sotto una pelle sola procedono due bestie. 0 infinita pazienza che tolleri siffatto strazio! ® A queste parole molte luci sceadono intorno al beato, ed effon dono un fremito di altissimo sdegno celeste.