Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      164 LEZIONE QUATTORDICESIMAF acqua. Tra i vini bensì vi è differenza considerabile di peso, e quelli che il vulgo crede vini leggieri, sono più gravi di tutti, come il vino bianco e di mezzo colore e generalmente tutti gli altri vini dolci, i quali sono altresì più gravi dell'acqua, quantunque il vin di Chianti e gli altri stimati gravissimi sieno tutti dell'acqua più leggieri.
      Ma dove mi sono io lasciato trasportare dall'autorità di que'due grand1uomini si lungi dall'intrapreso sentiero? Tornando dunque a nostro proposito delle bevande ghiacciate, gli antichi con grande delicatezza e con iscrupo-Iosa morbidezza l'usavano. Non si contentavano talvolta della neve, amavano meglio raffreddarle col ghiaccio, credendo che le ghiacciasse più forte ; non contenti di questo procuravano d'avere del ghiaccio tratto dal fondo più cupo della ghiacciaia, stimandolo più freddo, più possente e più pertinace, e caro loro costava ; e per usare le parole di Seneca: Itaque ne unum quidem eiut est preHum: $ed habet institores aqua, et annonam (proh pudor !) variam, Ancora Plinio si lamenta di si strana dilicatezza: Heu prodigia venirti t aquce quoque separato-tur, et ipsa natura elementa vi pecunia discreta «uni. Hi nives, iUi glaciem potanti panasque montium in voluptatem gula vertunt*
      In molte guise ghiacciavano le bevande. Altri la neve e '1 ghiaccio stritolato gittavano nel bicchiere, ove struggendosi raffreddava il vino o l'acqua, onde il bicchiere era ripieno, e ciò facevano non solamente per freddare le bevande non fredde, ma si ancora per render freddississime le già fredde per neve e ghiaccio. 0 in-felicem agrumi quare? Quia non omo nicem diluii? Quia non rigorem potionis suce, quam capaci scypho mt-«ciit'J, renovat [racla insuper glacie: grida Seneca detestando la mollezza degli uomini. Ed altrove : Non sorbere solum nivem, sed etiam esse, et frusta ejus in scyphoi *uos den-cere, ne inter ipsam ftitendi moram tepescanL Nelle quali


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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