Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      delle bevande calde 147
      di caldo e di secco, volendoci, cred' io, faro ingollare tutt'e quattro le prime qualità ad uso di nostro nutrimento, Or non sarebbe giudicato di poco senno se altri per esser la fame appetito di caldo e di secco, giusta la difinizione d' Aristotile, credesse perciò che non si mangiassero per gli uomini le minestre, le trutta, gli erbaggi, i latti ghiacciati e simigliauti materie umido'e fredde, o che un buon pezzo di bu« freddo o di prosciutto mangiato con pane parimente freddo non fotsaero atti a satollare e sfamare chicchessia quantunque af-famatissimoV Noi vergiamo per prova che massimamente nella fredda stagione per quelli ch'hanno sete, s'appetiscono avidamente le bevande calde e ferventi del cattò e dei tè, e che queste gii ristorano e gii dissetano incontanente, laonde molto meglio a mio erodere, per Piatone ne'libri della Repubblica s'avvisa, la sete essere un appetito di bevanda o calda o fredda. L.a qual definizione, checché dicano alcuni, è più vera, più chiara e più spiegante di quella d: Aristotile, che per io più volendo far del misterioso nelle sue definizioni, anzi che spiegare con esse e metter sotto gii occhi lestìcnza delle cose, l'intriga e l'inviluppa e l'involge in tenebre U' o-Bcurità.
      Ohe gii antichi acriuori coli'aggiunto di calda dinotassero lo stato naturale dell'acqua, è parimente lontanissimo dai vero, anzi gli autori tutti significar volendo la naturai qualità dell'acqua sempre i'addimandano fredda, e con ragione, perciocché l'acqua bi è per sua natura fredda e non calda, come insegna Aristotile nel libro secondo della generazione, ond' è che quest'aggiunto si propriamente se le conviene che alcuna fiata si trasforma quasi in suBtantivo. Plauto nella Mo*tel* laria : Jampridem ecastor frigida non lavi magie libenter. E Plinio nella pistola 49. Post èolempltrumque frigida lavdbatur. Lampridio parlando d' Alessandro bevero : biberet etiam frigidam Clandiamjejunud ad xmumpropc


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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