Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      146 LEZIO ICE UNDICESIMAo '1 lusso finalmente le promosse ad alto grado di pre. minenza tra le delizie della gola. San Girolamo scrivendo della custodia della verginità, la sua vita aspra, austera, e da ogni corporal dilicatezza e morbidezza rimota, così divisa: De cibi* nero, et potu tacco; cum etiam languentes aqua frigida utantur, et coctum ali-quid accepieae luxuria ait. Filone nel trattato della vita contemplativa parlando de'conviti che tra loro facevano ne' giorni più solenni i romiti dell' Egitto e contrapponendogli a quelli descritti da Platone e da Senofonte, riferisce che non vino si beeva, ma si ministrava acqua limpida e schietta, fredda a tutti gli altri e calda solamente a'più vecchi cui delicatamente viver si conveniva, e che a quosti bì dava per condimento V issopo, agli altri il pane per cibo e '1 sale per companatico.
      Questi scrittori ci dimostrano chiaramente quanto fosse in quef tempi comune e delizioso V uso delle bevande calde ed altresì quanto errasse indigrosso il dottissimo Mercuriale, il quale si diede a credere che gli antichi non l'usassero mai, se non per rimedio nell'infermità ed alcuna volta nelle mense per vomitare. Stima egli che gli antichi si Greci come Latini, quantunque volte fecero menzione dell'acqua calda ne'conviti, intendessero dell'acqua qual ella è nello stato suo naturale e non dell' acqua riscaldata per fuoco, e che calda la nominassero per distinguerla dall'acqua ghiacciata o in altra maniera raffreddata con arte. Imperocché l'acqua calda è più acconcia a concitare il vomito, che ad estinguere la sete ; la quale non è altro, giusta la definizione d'Aristotile da tutti i filosofi comunemente approvata, che una cupidigia o appetito d'umido e di freddo.
      Ua queste ragioni per mio avviso sono più fievoli che ad appagare un saggio e saldo intendimento non parrebbe si richiedesse. Aristotile definisce la sete appetito (l'umido e di freddo, e per lo contrario la fame appetito


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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