Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      Questa verità gli antichi teologi nelle favole involta occultarono, fingendo che fossero Io stesso nome il sole e Bacco, come prova Macrobio e l'accenna Virgilio in que' versi:
      Voa, o clariaaima mundi Lumina, labentem ccelo quce duci ti 8 annumt Liber, et alma Cerea.
      Pertanto malagevole cosa non è il comprendere onde avvenga che ne'luoghi sassosi, asciutti e signoreggiati da'cocenti raggi del sole sia il vino robusto, polputo, spiritoso, possente; dove che ne'luoghi bassi e palustri, l'umido si dell'aere come della terra al sol contrasta, e la sua virtù indebolisco ed i suoi pungenti strali rintuzza : le medesime viti il vino fiacco, snervato, languido e smorto producano. Considerate quanto sia di differenza infra i vini di Spagna, di Sicilia, di Candia di Cipri, caldissimi paesi, o quelli verbigrazia di Ravenna, a'quali Marziale antipone l'acqua:
      Sii eia tema miki quam vinea, malo, Ravenna*, Cum poaaim multo vendere pluria aquam.
      e più graziosamente:
      Callidus impoauit nuper mihi caupo Ravenna, Cum peterem mixtum, vendidit Me merum.
      Questa certamente si è incomparabilmente maggiore di quella che infra gli altri frutti della terra s'osserva; li quali come 1' uva si di sole non s'impregnano, nò tanto imbevono di luce. Per simigliante cagione egli avviene, che dal vino si separa a forza di fuoco, e si sublima in tanta copia quel sottilissimo spirito, il quale tutto quant' egli è in luce ed in fuoco si facilmente si


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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