Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      DELLE VĀRIE BEVANDE DEGLI ANTICHI 133 veramente č molto dolce, ma poco sugosa e malaccon-cia a far vino. GĖ1 Indiani, i Parti, e V Oriente tutto, bccvano vino di datteri macerati in acqua e poscia spremuti. Neil'Affrica facevano il vino dei frutto del loto, e simigliantemente in acqua macerato, siccome narra Erodoto, Polibio, Ateneo e Plinio; ed era questo vino simile all'ottimo mulso. Di quest'albero con gran lode parlano gli scrittori. Il suo frutto di color dorč, simile alle fave, o si vero all'ulive, dolce a guisa del dattero ovvero del fico ma pių odoroso, č si soave che gli antichi credevano che facesse scordare della patria. Opinione tratta da Omero, il quale nel decimo libro dell'CA lissea narra che approdato Ulisse all'Affrica e mandato alcuni de'suoi compagni a spiare il paese, questi s'avvennero ne'Lotofagi, popoli che di cotal frutto campavano, da' quali ne furono si ben pasciuti e con tanto diletto il trangugiarono, che pių non pensavano a tornarsene :
      Chiunque il dolce loto avea gustato,
      Quivi restar volea, posto in oblioIl patrio tetto, e 7 caro suol natio.
      Soggiugne che per riconduxgli a casa convenncgli strascinargli per farsa alle navi e quivi legarli sotto i banchi de'rematori.


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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