Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      132 LEZIO ICE UNDICESIMAche quelli che sono ebbri per soverchio vino, caggiono boccone per terra; dove quelli che sono ebbri per soverchia birra, cadono in terra supini in sulle reni.
      Dalle cose dette fin ora chiaramente ^ comprende, che quasi per poco l'Europa tutta, eccetto V Italia, ed altresì gran parte dell'Affrica, usavano queste bevande.
      Or trapassiamo alle bevande fatte di pomi e d' altri simiglianti materie. Queste erano moltissime ; perciocché di tutte le sorte di pomi facevano il vino: di pere, di mele d'ogni sorta, dì melagrane, di corniole, di nespole, di more, di pinocchi, e fin di fichi, il quale addi manda vasi aycites, o catorchites: ed altresì di mele cotogne, colle quali davano 1' odore al vino, che da Ulpiano si appella cydoneum : o finalmente ancora di sorbe, il quale è nominato da Virgilio, come comune a tutti i popoli settentrionali, de'quali cosi scrive :
      poetila lestiFermento, atque acidis imitantur vitea sorbis.
      Ma che vino doveva esser codesto, dirà alcuno per avventura? Afro, lazzo, al gusto spiacevole, e solamente buono a fermare le scorrenze del ventre? Anzi no. H vino di sorbe è gustevolissimo e graziosissimo ; e se colla sua soave delicata asprezza non inasprisse alquanto la gola, e le fauci non astrignesse, sarebbe oltre ogni dire dilettevole e appetitoso. Tanto già mi raffermò il nostro dottissimo Sollevato (1), il quale per suo divertimento stando in villa soleva manipolar vini d* ogni maniera e di questo particolarmente assai volte ne fece la prova. D' un altro vino fa menzione Plinio : Vinum fit et e siliqua Syriaca, dic'egli. Qual sia questo frutto malagevole cosa è a determinarsi ; nè per gli scrittori s'accerta. Alcuni credono che sia la carrube la quale
      (I) TI AODta Lo remo Magalotti.


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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