Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      DELL'CBBRIACHEZZA E DEBORAH BEVITORI 121 que verisimile, che coloro avendo bevuto la metà solamente si morissero. Potrebbe alcuno immaginarsi, che s'esponessero alla funesta tenzone dopo aver cioncato ben bene. Ma sia come esser vuole, voi vedete quanto questa smoderata cupidigia del vino oscurasse lo splendore dell' illustri e gloriose virtù dei più prode campione di tutti i secoli.
      Or venghiamo a5 Romani. Brigaronsi questi di raffrenare quanto loro possibil fosse la vinolenza de' cittadini. Vietarono per legge a'giovani ben nati fino all'età di trentacinque anni, ed alle donne tutte di qualunque età, si libere, come schiave, il bei* vino di lussuria produttore e fomentatore: ed acciocché le donne dalle pene imposte dalla legge sottrai* non si potessero, permisero a'ioro congiunti di baciarle , perchè sentissero se sapevano di vino. Egnazio Mecennio ammazzò la moglie, perchè avea spillato la botte; e ne fu assoluto. Un' altra matrona per aver sottratto le chiavi della cantina, fu costretta da'suoi a morire di stento. Gneo Domizio giudice altra ne condannò alla perdita della dote; perocché senza saputa del marito aveabeuto alquanto più di quello che le sue indisposizioni richiedevano. Lucio Fulvio banchiere fu messo in carcere d'ordine del Senato e ritenutovi lungamente per essersi lasciato veder coronato di rose sur un ballatoio, che guardava verso del Foro; cred'io per punire la sua baldanza, che non si vergognava di farsi vedere qual ebbro in pubblico. Imperocché t come avvertimmo nel passato ragionamento, era segno d'inebbriamento i! farsi vedere in pubblico colla corona.
      Non per tanto questa austera e rigida severità non bastò a raffrenare lungo tempo gli animi inchinevoli al vizio dell' ubbriaci:ezza. Perchè Sammonico Sereno lasciò scritto : plerique ex plebe Romana vtno madidi in Comitium venirent et ebrii de R eipublicce salute consulerent; e Seneca, nella pistola 122: Non videntur


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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