Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      118 lezionb decimasandro finire il secondo Qadde stramazzato sul letto e si ammalò, e se ne morì! Banchettando un giorno gli amici ed i capitani dell' esercito, propose la corona e'] premio a chi più largamente degli altri avesse bevuto : secento scudi al primo, trecento al secondo e al terzo cento. Fu gran gara tra' convitati, e la vinse un certo Promaco, che bevè quattro cogni di vino e dopo tre giorni avvinazzato mori e mal fini. Oltre a Promaco altri quarantuno per quella vinosa scaramuccia misera, mente perirono. E qui è d'uopo l'avvertire, che il cogno de'Latini e la cìioa de'Greci, misure tra sè molto corrispondenti, non tenevano dieci barili, quanti ne tiene il nostro cogno: ma bensì la decima parte d'un barile o poco meno. Perciocché Dioscoride scrive che la metreta capiva dieci choc: e la metreta al nostro barile prossimamente corrisponde. Un vaso che sia un braccio per ogni verso, che i matematici chiamano braccio cubico, tiene cinque barili: l'anfora era d'un piede per ogni verso, cioè a dire poco più di mezzo braccio: onde capiva dodici in tredici fiaschi: e la metreta teneva un'anfora e mezzo, che vale a dire un barile. Quindi potete agevolmente conghietturare la grandezza e la misura dell' Idrie, nelle quali Cristo Signor nostro trasmutò l'acqua in vino ; notando il Vangelo , che ciascheduna capiva due o tre metrete, cioè due o tre barili.
      Ora tornando a Promaco, fa di mestiere il dire che quei vino che 1* uccise, ed insieme con esso lui tanti altri esperti e valenti bevitori, che men di lui beuto avevano, fosse molto gagliardo e possente: se non se forse la choa de' Persiani era maggiore della chaa dei Greci. Conciossiacosaché noi leggiamo, che Mi Ione Cro-toniate beeva a pasto tre clioe : e quel Torquato, di cui appresso parleremo , tre cogni a un fiato tracannava : e Galeno, nel libro quarto dell'uso delle parti, al cap. 13 scrive: molti di quelli che beono largamente cioncando Vanfore intere. L'anfora capiva otto cogni. Non è dun-


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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