Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      116 lezione decimasportare; e di Faraone, e d' Erode che dei gran Santo fece si crudo scempio. Filone ancora scrisse un intero trattato contra si brutto vizio : ed essere già divenuto comune usanza di tutte le nazioni, Ateneo, nel libro decimo delle Cene de' tìavi, diffusamente il prova.
      Ed in vero, che questa abominevole infezione per poco tutte le nazioni viziasse, e bruttasse,. gli antichi scrittori ne fanno chiara testimonianza. Platone, nel libro primo delle Leggi, riferisce che gli Sciti, i Per. giani, i popoli della Tracia, i Cartaginesi, gli Spagnuoli, i Francesi costumavano d'imbriacarsL E qui vuoisi avvertire, che Ateneo rapportando questo luogo di Platone doppiamente sbagliò, citando V undecimo libro in vece dei primo, e nominando i Lidi, in cambio degli Sciti. Gli Sciti erano per vinolenza nominatissimi, talché appresso de* Greci la parola cjtudiCeiv, ovvero i7rto>cu0tCetv, valeva ber pretto, bere intemperatamente; siccome appresso de' Latini la parola pergraecari\ perciocché all' usanza de' Greci largamente si beeva. Non meno intemperata si era la vinolenza de' Parti ; onde è celebre quei detto dell' arnbasciaclore degli Sciti, il quale poscia passò in proverbio : Che i Farti quanto più beevano, tanto più erano assetati.
      De'Persiani narra il padrq della greca storia, Erodoto, che e' consultavano tra* bicchieri, e ciò che beendo avevano consultato, il giorno appresso deliberavano digiuni ; e per lo contrario le deliberazioni latte a digiuno risolvevano beendo. De1 medesimi scrive Senofonte, eh'e' non portavano mai in tavola né fiaschi, né altri vasi di vino, proibendolo loro le leggi vendicatrici dell' ubriachezza: ma che nulla dimeno erano portati via da tavola cotti, briachi, ed impotenti della persona per soverchio bere.
      I popoli della Tracia parimente erano solenni bevitori ; per la qual cosa da1 poeti si greci e si ancora latini nominati sono per la loro capacità e grandezza


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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