Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      degli antipasti e delle seconde mense 61 Avevano altresì la cognizione delle canne del nostro zucchero, generatrici dello zucchero non già , perchè 9 come dissi, allora non si sapeva manipolare. Scrive Plinio, che nell'Isola fortunata, chiamata Ombrio, nascevano alcune ferule bianche e nere, e da queste si spremeva un' acqua amara, dalle bianche gioconda e dolce. Varane Atacino leggiadramente con questi tre versi le descrive :
      Indica non magna nimi* arbore crescit arundo,
      Illius e lentia premitur radicibus humor ;
      Dulcia cui nequtunt succo contendere mella.
      Di queste canne beavano il sugo gV Indiani, ed altri popoli, come scrive Lucano :
      Quippe bibunt tenera dulces ab arundine succos.
      Di queste stesse stesse canne nei tempi più bassi n'erano portate anche a Roma , perciò Stazio, tra le rare ed esquisite cose gettate al popolo da Domiziano nel giorno del carnevale, numera queste canne:
      Et quas prcecoquit Ebosia canna*.
      Largis gratuitum cadit rapinis.
      Non si trova per altro giammai fatta menzione di questo zucchero; seppure alcuno non volesse a ciò tirare il significato della parola prteecquit, interpretandola per la cottura delle canne, per cui si manipola lo zucchero.
      Non avendo dunque gli antichi l'uso dello zucchero, maravigliosa cosa è a pensare, come col solo mele potessero fare tante e si varie e si gioconde e sì preziose vivande. Svetonio parlando di Nerone : indicebat et familiaribus conia* , quorum uni mellita quadragie, constiterunt : alteri pluris aliquanto aòsyrtio rosaria


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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