Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      54 LEZIONE quintaLa salsiccia ancora s' annoverava tra gli antipasti, come io osservo appresso Cicerone nella pistola 16, del lib. ix, Neque est quod inpromulside speiponas aliquid, quam totani sub a tuli; solebam enim antea delectari oleis, jet lucanicis tuia. E similmente ancora l'ostriche, i ricci di mare, e smaglianti pesci. Ma nelle cene più splen. didc e sontuose ponevano nel principio anche il cinghiale, i tordi, i beccafichi, i polli e qualche pesce nobile, come narra Orazio della cena di Nasidieno, e Macrobio della cena di Metello, e Petronio della cena di Trimalcione. E qui voglio avvertire, che gli antichi, siccome noi ancora costumiamo, erano usati porre in tavola a principio ordinariamente le vivande crude e fredde. Di questo buona coniettura si è, che Plutarco scrive che questa parte della cena si chiamava mense fredde, ai f«p xaXouuivat «l'uxp®1 Tpàiw&u: 6 gli scrittori della Storia Augusta sovente fanno menzione di queste mensa fredde nella vita di Gordiano, di Massimino e di Pescennio. Macrobio pone in tavola per antipasto, echinos, ostreas crudas quantum vellent, peloridas, spondilos: e similmente Plutarco, Simpos. voi, quest. 9: «i 7Xomt'wti <^X,pà: Tpàjulou irpiTipov oafpitov, Xixavw*.
      Quelle che si addimandano mense fredde d'ostriche, di ricci marini e di crudi erbaggi. Se pure colla sola mutazione d'una virgola, l'aggiunto crudi, noi non lo volessimo riferire ai ricci e all'ostriche ; acciocché Plutarco in tutto si convenga con Macrobio, e con Giulio Capitolino, che nella vita de'due Massimini distingue i freddi erbaggi : oleribm semper abstinuit, a frigidisfere semper. Prima di passar oltre convien dire alcuna cosa dell'uovo ristoratore degl'infermi, conforto e sollevamento degli svogliati e nauseanti, e pasto suavissimo de'sani, e condimento saporosissimo delle vivande. Non dubitano gl'intendenti delle costumanze antiche, che l'uova dessero principio alla cena; senza che Varrone ed Apuleio l'accenna, chiaramente il dimostra Orazio in quei versi:


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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