Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      48 LEZIONE QUARTAcui ottimamente convicnsi il nome isicia con quell'aggiunto a principio per esser salata. Ateneo fa menziono d'una vivanda chiamata lastaurocacabo, che i dotti interpreti stimano esser V oglia putrida degli spagnuoli. Le torte piacevano assai ed universalmente a tutti ; per la qual cosa si nominavano placenta: e Bionc diceva essere impossibile piacere alla moltitudine, e per ciò conseguire, esser di mestiere diventare una torta, e san Gerolamo scrive a Marcella: non sunt suaves epulce^ quos non placentam redolente
      Tornando a'cibi semplici, erano in gran progio gli uo-voli e i tartufi. Marziale:
      Rumpimns altricem tenero de vertice terram Tuberat boletis poma sccunda sumus.
      E Giovenale nella satira quinta:
      Vilibus ancipite8 fungi ponuntur amici8, Do le tu s domino: sed qualem Claudius edit Ante illum uxori* postquam nihil amplius edit.
      Accenna qui Tuo volo, nel quale fu avvelenato Claudio imperadore, che gli uovoli con is trabocche vele ghiottor-nia appetiva. Sopra tutti gli altri bonissimi erano giudicati i tartufi dell'Affrica. Plinio laudatissima Africa. E Giovenale:
      tibi hàbe frumentum} Aledius inquit, 0 Lybiey disiunge bove8, dum tuberà mittas*
      Resta adesso di dire alcuna cosa de condimenti. Seneca si lagna dicendo, che assai dell'infermiti si cagionano dalla gran varietà delle salse e degl'intingoli, ritrovati anzi per irritare la fame che per sedarla: Postquam ccrpit non ad tollendam, sed ad irritandamfamem quali


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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