Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      Delle CAUSI 43
      sapori fin de'capretti c delio grue, l'origine e la stirpe divisando. Queste noi non le mangiamo forso per la difficoltà di pigliarle e d'averle giovani e tenere come conviensi acciocché sieno delicate e buone ; ma il Boccaccio ed altri scrittori, al giudizio de'quali vuoisi credere, ne fanno onorata menzione; ed i Romani, i quali perciocché ne tenevano i pollai, potevano a lor piacimento e a scelta mangiarle tenere e grasse, assai di bene e di lodevole ne scrissero. Plinio, nel libro decimo al capitolo xnr, delle gruc scrive cosi: Cornelius Xepoa qui divi Augusti principato obiit, curn scribcrct turdos paulo ante ceptos saginari, a&didit ciconias magia piacere, qttam gruea: cum hcec nunc alea inter primo* f»-petatur, illam nemo vclit attigisae. Meravigliosa cosa è che vi fosse alcun tempo nel quale anche oggi delle cicogne grande stima si facesse. I tordi in ogni tempo furono in pregio ; e perchè gli conservavano nelle uccclliere e gl'ingrassavano ne'aerbatoi, mangiavangli d' ogni sta-gione. Avvenne una volta clic il medico, a Pompeo malmenato da infermità e nauseante ogni maniera di cibo, ordinasse che dovesse mangiare un tordo. Soggiunse lo spenditore che per esser fuori di stagione non poteva provvedersi in mercato, ma bensì potevasi trovare appresso Lucullo, che gli alimentava tutto Tanno, al che rispose Pompeo: adunque se Lucullo non lussuriasse, Pompeo viver nonpotrebbef egenerosamente vietò chesi procacciasse.
      Il beccafico solo godeva l'onore d'esser tutto piacente a'ghiotti, d'esser tutto intero mangiato con diletto. Degli altri uccelli per lo più mangiavano solamente le parti deretane, e stimava sì povero il convito so non v'era tal dovizia d'uccellami, che di queste sole i convitati potessero satollarsi, e chiunque mangiasse il resto giudi-cavasl goffo e di palato poco addottrinato nell'arte della cucina, come narra Gellio, e Plinio altresì lo conferma: Nec tamen in hoc mangonio quicquam totum placet : hie clune, alibi pectore tantum laudati e. Laonde Orazio nei suoi Sermoni parlando della lepre disse:


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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