Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      be' pesci a?
      Ma io per ismemoraggine mi ora quasi dimenticato dell'ostriche, bocconi saporiti ed aggradevole ed iu ogni tempo dagli esperti mangiatori stimati soavi u deliziosi. Tiberio donò cinque mila scudi ad Àsellio Sabino, por aver costui composto un dialogo, in cui introduceva l'ostriche, gli uovoli, i bcccafichi ed i tordi quistionanti, e pel primato tra sè contrastanti. Seneca facendo proponimento di menar vita austera e rigida deliberò di non mangiar mai più nè uovoli, nè ostriche. Per lo contrario Eliogabalo uomo dissoluto, e perdutamente abbandonato al piacere della gola, dell'ostriche faceva fin le salciccie, ed il ripieno pc'poll?, e per altri animali. Le mangiavano i Romani non solamente cotte, ma crude ancora, come facciamo noi. Galeno nel libro terzo della facoltà de'cibi : à\xà TaOTct iTii iravra: zàò Sr;:ii xaj eyr.ctw; «-fti&vaiv. Tutte queste cose si cuocono ; ma Vostriche mangiatisi anche senza cuocere. E infatti Macrobio descrivendo la cena di Metello, fa portare in tavola l'ostriche crude. Usavano anche i golosi di prendersi il diletto di vederle aprire in tavola, il qual costume accenna Seneca nella pistola settantot tesina a : Quia non oslrea ipsi Lucrina in ipsa mensa aperiunturt dalle quali parole si comprende che l'ostriche del lago Lucrino erano tenute per mcgliori dell'altre. Sergio Orata fu il primo a discoprire questo gran segreto, e come scrive Plinio : Ostreis Lucrinis optimum saporem adiudicavit. Dopo ebbero grido l'ostriche di Taranto, onde V ostriche ta-tentine tra'bocconi più pregiati sono da Varronc annoverate. Finalmente per togliere ogni contrasto tra queste due sorte d'ostriche, fu deliberato di trasportare l'ostriche tarantine nel lago Lucrino, e quivi farle ingrassare. Plinio leggiadramente il descrive : Poste a vi-sum tanti in extremam Italiam petere Brundisium o-streas : ac ne lis esset in ter duos saporest nuper exeo-gitatum famem forcate advectionU Brundusio compa*


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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