Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      VBLIM CEKE PRIVATE 17
      Isotta i Romani con parole di adeguo. Quid est evita fftuiptuosa ftagitiosius7 et equestrem censum consumentet XI censo equestre era venticinque mila scudi. Nò ^ di ciò maraviglia, perocché racconta lo stesso Seneca, cho Caligola in una cena gittò dugento cinquanta mila scudi, e trovò modo di scialacquare il tributo di tre provincic in un convito. Questo matto imperadore, e di perduta vita, con questi grandi mangiari, ed in altre sue portentose magnificenze dissipò, siccome si narra per li storici, in meno d\in anno quel gran tesoro lasciato da Tiberio, che come scrivono alcuni non era meno di sessantasette milioni e mezzo, e come altri , d'ottantadne e mezzo. Scrive Svctonio che Nerone intimava a'suoi cortigiani le cene, e che ad uno di questi la confezione solamente costò cento mila scudi; e che faceva simigliantemente Vitellio ; e a nessuno costò meno di dieci mila scudi ; o asciolvere , o desinare, o merenda, o cena,che ella si fosse; perocché costui mangiava quattro volte il giorno. Questi fece ad un suo banchetto un gran piatto di cibreo, e vi spese venticinque mila scudi, come appresso diremo: per la quai cosa non sia maraviglia, se come narra Tacito costui in meno d'otto mesi che governò, disperse e scialacquò ventiline milioni e mezzo. Eliogabalo, siccome uomo, per golosità e prodigalità, quanto altri fosse mai mostruoso e matto, non ispendeva meno di duemilacinquento scudi il giorno nella cena, e talvolta settantacinquemila. Fu famoso il convito di vero imperadore, uomo di senno e dabbene, nel quale non erano più che dodici a tavola, o niente di meno costò cento cinquanta mila scudi. Ma egli non gittò questo danaro per ingombrare la mensa di ricche e portentose vivande, ma onorò i convitati di ricchissimi doni, e a chi in tazze e bicchieri, a chi in piatti « vasellamenti presosi, a chi in altre moltissime cose, diede loro quello che valeva gran somma di danari7,
      ApmiKf. J


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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