Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      be' coyvrrr pubblici Yò
      5travizj , ma segreta mento ed in privato. 8oneca nel-y epistola 95 volendo magnificare la frugalità e astinenza degli antichi; totie$ tamen scstertio adiiciales cenuB frugalÌ88tmÌi viris constiterunt, Venticinque scudi eccedono di gran longa la somma prescritta dalla legge Fannia, Macrobio descrive una di queste cene pontificali antichissima, quando erano in osservanza le leggi, doviziosamente fornita di molti pesci, e di carni, e di selvaggine, e d'altre gustevoli e squisite vivande, Narra Varrone che Scipione Metello per fare una di queste cene comprò cinque mila tordi di serbatoio, e pagagli un testone 1' uno : d' onde potete agevolmente comprendere quanto costasse quella cena, nella quale i soli tordi valevano mille cinquecento scudi. Marco Catone pigliando la tutela di Lucullo vendette per mille scudi di pesci, i quali Lucullo nodriva ed ingrassava ne* suoi vivaj. L* Àlbuzio Boleva dire, che se avesse potuto comprare una villa lungo il mare, gli avrebbe risposto di rendita annuale oltre due mila cinquecento scudi. Imperocché questi mangiari erano si abbondevoli e si frequenti, e di vivande si squisite e b\ delicate imbanditi, che le cose da mangiare smoderatamente rincaravano- Sentite Varrone nel capitolo secondo del libro terzo delle faccende della Villa. Qwo-tusquisque est annvSt quo non vìdea* epulum aut trium-phunif aut collegi a non epulari, qaa& mine innumerabi-les intendunt annonanu S' arroge a tutto questo efie servivano i convitati di grasso e di magro. Si legge in Varrone, in Plinio ed in Macrobio, che per uno di questi conviti Giulio Cesare accattò da Irrio sei mila murene, le quali costui teneva ben pasciute ne* suoi vivaj, e le teneva in tanto pregio, che vender non le volle, nè con altra qualunque cosa permutarle.
      Ninno dunque a buon senno dubitar può, cheqpesti solenni conviti non portassero spesa strabocchevole, ed oltre misura grandissima, IH quanti cuochi v di quanti


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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