Del vitto e delle cene di Giuseppe Averani

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      XIV PREFAZIONEbandonò mai neppur dopo coperto le guance, il Niccolini loda la sua nimistà con Vozio. Magalotti, che ne parlò sì delicatamente, e lo stesso Averani ne toccò così nel-T orazione che dettò delle iodi di lui : Miratelo immerso negli odori, maneggiar fiori, buccheri e trattar odorifere manipolazioni e in altre guise, come alcuno follemente giudicherebbe, perdere il tempo. Voi crederete che per diporto s'abbassi a sì lievi faccende, come di Scipione e di Lelio si narra, allorché andavano sollazzando sul lido di Gaeta e scherzando e raccogliendo nicchj a guisa di fanciulli. Ma ne sareste forte ingannato se ciò credeste. Non s'abbassava egli all'umili cose, ma quelle sublimava filosofando e speculando.
      Vincenzo Vivimi, il restitutore di Aristeo e di Apollonio Per geo, stimava tanto V Averani che lo voleva mandare ad insegnare matematiche a una università straniera. Egli antipose Pisa. Così d'Alembert rifiutò di lasciar Parigi per Berlino e per Pietroburgo. E quando vecchio e affranto, dovè ridursi in patria, renunziò allo stipendio, e costretto dal Granduca a ritenerlo, si acquetò la coscienza con lo scriver di leggi, supplendo con la penna alla voce.


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Del vitto e delle cene degli antichi
di Giuseppe Averani
G. Daelli e comp. Editori Milano
1863 pagine 169

   

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