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Come devo parlare in pubblico?
Esempi di discorsi per le varie occasioni della vita
Jacopo Gelli
Ulrico Hoepli Milano, 1912, pagine 464

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   34-S
   Capìtolo terzo
   questo luogo, alla vostra presenza mi peserebbe sull'anima come un fallo, come un rimorso e mi parrebbe quasi di lasciar muta la cara e commovente cerimonia. Dunque parlerò, ma rammentando che parlo specialmente a soldati e di soldati, sempre parchi nelle parole, ma ricchi e generosi nelle opere, mi studierò d'imitarli e sarò brevissimo.
   Sull'ali del pensiero noi siamo là sull'adusta terra africana, laddove da tre anni ondeggia al vento la nostra bandiera: alle spalle il mare; di fronte, da lungi, levano verso il cielo e nascondono tra le nubi la superba lor vetta, le aspre e dirupate montagne d'Abis-sinia: Ja pianura si stende intorno ondulata, melanconica, arida e deserta. Il mattino del 26 gennaio una schiera di giovani soldati (erano cinquecento) lieti e giulivi, ignari della imminente catastrofe, attraversano quella landa, pensando forse ai colli ameni, alle spiag-gie ridenti, ai domestici focolari della patria, tanto più cara quanto più è lontana.
   Ecco da lungi, a filo dell'orizzonte levarsi un nugolo di polvere: ecco veloci come aquile precipitarsi onde di cavalli e manipoli di fanti, addensarsi gli uni sugli altri, chiudere la via e accerchiare la nostra piccola schiera. Siete pochi, o giovani soldati: uno contro dieci, uno contro venti, su terreno infido, lontani dai vostri; indietreggiate, fuggite, salvatevi !... E un pugno di giovani, che per la prima volta veggono il nemico, còlti all'impensata; ma è un pugno di eroi, egli eroi non conoscono la via della fuga. Si fermano, si ratte-stano, si raggruppano intorno alla loro bandiera, brandiscono l'armi e in mezzo alle urla selvagge, al grandinar delle palle son là ritti e per alcune ore sostengono e ributtano i replicati e furiosi assalti di quelle orde ferocissime.