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venivano, da una serie di terribili avvenimenti, ribadite più fortemente di prima. Donde potesse venire l'impulso a nuovi rivolgimenti, nessuno lo vedeva. L'Italia, giudicata da tutti il focolare delle agitazioni, non poteva contare, in Europa, su nessun amico, non poteva sperare, da parte alcuna, soccorso. Nessuno avrebbe mosso il braccio e nemmeno alzato la voce per lei. Se non che, mentre tutta Europa si assopiva in un letargo da cui pareva che nulla dovesse svegliarla, in un cantuccio d'Italia, un piccolo paese, guidato da un Re generoso e da un ministro di genio, offriva un esempio meraviglioso e inaspettato d'iniziativa, di libertà, di movimento ordinato e progressivo. Quel piccolo paese aveva audacemente raccolta l'idea italiana, e l'agitava in faccia al mondo intero.
Quanti di noi ricordiamo ancora quegli anni, ne' quali il nostro pensiero volava ognora oltre il Ticino, e con ansia ineffabile e ineffabile speranza si guardavano, si seguivano gli uomini e gli avvenimenti di quel piccolo paese, dove s'era, direi quasi, concentrata tutta la patria!
La fermezza e la lealtà del Re, il genio del grande ministro, l'ardire e la sagacia della spedizione di Crimea, la gloria rinascente delle armi italiane, lo sviluppo delle libertà, il fervore dell'intelligenza e del lavoro, tutto ci appassionava, ci esaltava, come cosa nostra.
E che fremito immenso corse per tutto il paese, quando si seppe che Cavour aveva gettato il nome dell'Italia in mezzo al consesso delle nazioni d'Europa! Il ministro italiano avea trovato nell'Imperatore Napoleone quel soccorso generoso che da ogni parte d'Europa gli era negato. Non v'ha uomo di mente e di cuore che non rimanga profondamente colpito, s'egli pensa a ciò che fu detto nel colloquio di Plombières, a ciò che è