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Capitolo terzo
Voi in me salutate non un uomo, ma una fede. Una fede viva qui, come dovunque s'agiti e frema e prorompa in ogni forma la vita. Una fede che non può estinguersi nè pure là dove gli istinti e le passioni e le cupidigie umane paiono ad essa più contrarie.
Ed è in nome di questa fede, nel nome dell'arte che io venni qui tra voi e che saluto in voi Genova vostra e eh' io — con la sicura coscienza di un profeta — invoco alla sua gloria tutte le forze rigeneratrici, tutte le sacre energie dell'arte.
Dell'arte cosi palpitante ancora, nella poesia dei vostri ricordi e nella storia del vostro popolo, cosi limpida e serena nei segni gloriosi della vostra repubblica, non infranti o non sepolti ancora dalle bufere architettoniche dei regni borghesi: dell'arte cosi ammonitrice e persuadente nella grazia, nella fierezza, nella letizia fiorente delle dame, dei cavalieri e dei miti di cui Van Dyck e Rubens, ospiti amati della dovizia genovese, han popolate le sale patrizie fulgenti d'oro, tra gli arazzi ; dell'arte cosi vergine tuttora e così dominatrice che trasfigura nelle aureole di maraviglia l'albe e i meriggi e i tramonti del vostro mare; quando il porto, e la sterminata, commossa foresta delle pinte navi, e il cielo vibrano di tutte le gioie formidabili del colore, mentre i bronzei torsi ignudi passano gravi nel gesto ritmico del lavoro, e i grandi occhi profondi delle vostre donne effondono dintorno i remoti fascini dell'antica bellezza immutata.
Solo nel nome di questa nostra fede, o amici, e per l'amore eh' io le ho dato (unica suprema ragione della mia vita) io stendo le mani e mi curvo al vostro plauso.
E accogliendo con umile entusiasmo il nome di maestro con cui volete salutami, io, nell'esaltazione delle
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