Capitolo terzo
Oh chi ha assistito a quella festa, non dimenticherà mai quel sereno giorno di maggio e quell'ora ! Tra gli evviva assordanti del popolo, tra l'osannare delle campane, tra il fragor delle trombe, tra lo scintillare degli orifiammi e delle bandiere, candido, aureo, meraviglioso, divino, sorgeva nel sole il tempio della madre di Dio, e per l'aria, senza mutamento, sembravano, dalla porta spalancata del Tempio, dalle ampie finestre, dalla prossima piazza della Signoria, dalle vie circostanti, dovessero venire, balzare innanzi agli occhi dei centomila spettatori meravigliati, tutti i personaggi che intorno al Duomo marmoreo, ne' secoli, si accalcarono combattendo, acclamando, imprecando, folleggiando.
E Luigi Del Moro, tra quel coro di lodi che da ogni parte saliva a Lui, non aveva parola, e ripeteva di continuo quasi a sè stesso, questa esclamazione, mentre gli occhi buoni gli si empivano di lacrime : — Povero De Fabris !
Egli, anche in quell'ora solenne, in cui veramente commosso dalla magnificenza dell'Arte, il popolo lo acclamava, non aveva che un pensiero, quello del Maestro suo, che non aveva avuto il supremo conforto del meritato trionfo....
La sera di quel giorno memorabile, certo, ritornando nella sua modesta camera, mentre stanco delle violente commozioni provate, rileggeva piangente il saluto materno della sua Livorno, Luigi Del Moro ripensò alla sua giovinezza, e la cara soave immagine del suo babbo amatissimo, come il Maestro suo già dileguato dal mondo, gli sarà apparsa sorridente, benedicendolo !
Allora, ce^to, avrà rammentato, oh antitesi superba!, egli, il grande artista della facciata del Duomo fiorentino, che quasi fanciullo, nel 1862, a Castel del Piano,