Discorsi inaugurali
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rava, sicché si può dire che in tutto il suo teatro non c'è un vero e proprio malvagio, ma dei melanconici morituri, dei deboli sopraffatti dalle forze ostili della vita.
Così si potrà dire egualmente di lui, che fu un romantico e fu un verista; ma più propriamente si dirà che fu un poeta sempre : e l'unità di tutta la sua opera così varia sta appunto in questo ottimismo filosofico e immaginoso, che non negava il dolore, ma affermava di là del dolore la speranza. Mutò di forme perchè egli era un nobile spirito irrequieto, perchè era il grande amante della vita, e la sapeva comprendere tutta, onde adorò le memorie, esaltò il presente, credette nelle giustizie dell'avvenire. E la sua speranza si nutriva di tutto: della sua stessa eloquenza maschia e nervosa, che partendo con passo equo e prudente da cose umili saliva presto alle più alte ; delle vittorie altrui che egli amava come le proprie, per la gioia che gli davano tutta l'arte e tutta la scienza e tutte le libertà; della presenza dei giovani per i quali fu non padre, ma fratello, consigliere, consolatore, difensore, protettore; e nacque la sua ultima speranza dal primo raggio di sole primaverile, che sgorgò dalla finestra sul suo letto di ammalato, e gli diede, invano purtroppo, un senso aureo, e ilare e leggero di sanità e di avvenire.
Così egli può stare in questo teatro con gli altri due che l'hanno preceduto. Con Paolo Ferrari che ebbe anch'esso l'ingegno fatto di bontà, e costruì e resse le sue commedie con lo stesso spirito amoroso e assennato, con il quale governò la sua famiglia; e con Giacinto Gallina, povera anima puerile, tormentata dall'ispirazione e dalla sventura, che affermò quasi al termine della sua vita zingaresca: « La base di tutto ciò è volersi bene ».