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bassare i più grandi. Eppure da tanta mistura di avversioni due compiacenze rimangono: quella di sentir noi tra noi sempre più numerosi ed uniti, e quello di sentir noi, fra gli stessi nemici, stimati. Egli è che avemmo per la nostra vita nazionale grandi maestri il dolore e la storia.
Il dolore c'insegna il ritegno delle inutili intemperanze, degli oltraggi codardi e delle infeconde querele. C'insegnò la pazienza attiva, che soffia nelle fiamme della volontà perchè la cenere della sfiducia non soffochi l'energie. C'insegnò la costanza tenace dell'ellera che sgretola le muraglie, e della goccia che scava la pietra. C'insegnò la religione del dovere che volge al bene comune il sacrifizio del singolo e procaccia la gioia del dare senza la compensazione del ricevere. E c' insegnò la divina legge dell'equità. Per essa, non costringendo ma convincendo, a raccogliere rispetto, seminammo rispetto; e come proclamammo e scrivemmo così significammo con gli atti, che con noi sta la difesa non la conquista.
Senza uscire con ipocrisia o sotterfugio dal lecito, ognora integramente osservato, senza esorbitare dal principio di non fare agli altri ciò che non vogliamo patire che a noi dagli altri sia fatto, non abbiamo mai imposto scuole od asili ad estranei, ma obbedito sempre ai desideri delle popolazioni imploranti.
Non siamo la fiumana violenta ch'esce dall'alveo a invadere terreni non suoi; siamo l'argine che quella fiumana nel suo corso naturale contiene.
Dalla storia imparammo ad essere veraci quando ci vantiamo civili, rispondendo alle ingiurie e respingendo le accuse con la legittima prova de' fatti e l'urbana serenità delle forme.
Imparammo a custodire illibata l'eredità antica e a guardarvi per entro con amoroso orgoglio, non come