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Capitolo terzo
Ecco la bella poesia della patria lontana, che il presidente del vostro comitato illustrava poco fa con bella eloquenza, leggendo le lettere dei vostri emigrati.
E chi dimentica nel suo luogo di martirio il cantor della Metamorfosi (') tenerorum lusor amorum (Trist. Ili, 3)? Cresciuto al sole d'Italia, languì sette anni nella solitudine della Scizia, dove non eran fiori ne canto di uccelli, nè azzurro di cielo, ma tristezza e ghiacci perenni (Trist. Ili, 12). Ah quante volte la visione dei verdi colli del suo Abruzzo gli rese più acerbo l'esilio; quante volte, vecchio e affranto, la sua vena di poesia inaridita si rianima per l'aspirazione verso la patria in versi strazianti, e gli par di tornare quale era
«.....At mihi si . . . patriam reddas,
Sint vultus hilares, simque quod ante fui . . .
Sulmo mihi patria est, gelidis uberrimus undis, .... Scythico quam procul solo ! »
(Trist., V, 1 ; IV, 10).
Questo grido di dolore, dopo secoli, l'animo abruzzese ripete per voce dei suoi emigranti. La patria che non diede esilio, li accoglie con affetto materno: e la Dante Alighieri vuole che tornino colla lingua che insegnò la madre e colla fede che tenne il cuore dei nostri grandi.
Continuiamo, Signori, sotto l'esempio del nostro Re, l'opera patriottica; diamo a questa causa dell'ita-
(¦) Publio Ovidio Nasone (43 a. C. t 17 d. C.) di Sulmona fu uno dei maggiori poeti romani; accusato di essere propalatore di amorosi segreti aulici fu relegato a Tomi, ove morì.