Discorsi inaugurali
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America, in Oceania le nostre colonie, non è necessario che io qui faccia una minuta statistica. Saranno, probabilmente, un assai maggior numero. Ma, mentre quegli italiani dei quali ho parlato dianzi, son cittadini di altri stati e hanno, malgrado loro rotto ogni relazione con lo Stato, che porta il nome della loro stirpe, nè è in loro il rinnovarla, questi di cui parlo ora, sono, in genere, cittadini del Regno, ricorrono agli ambasciatori e a* consoli nei lor bisogni, son protetti dal nostro Governo, e riguardano il territorio natio che hanno lasciato, come la lor patria sempre, non in un rispetto storico, intellettuale, morale, sociale, ma in un rispetto attuale, giuridico, vigente.
Pure, noi italiani del Regno, noi italiani, qui uniti oramai in uno stato solo, siamo e ci sentiamo legati a' primi e a' secondi, quantunque in diverso modo. Il vincolo comune che ci stringe verso gli uni e gli altri è questo : che, poiché e gli uni e gli altri stanno sotto governi forestieri e soggetti a influenze forestiere d'ogni sorta, noi dobbiamo difendere nel cuor loro la civiltà e il carattere italiano, e ostinarli a rimanerne i rappresentanti dinanzi a tutti e contro tutti. Noi, italiani, che ci siamo risollevati a nazione e costituiti a Stato, anzi a Stato che conta tra le grandi potenze del mondo, dobbiamo esercitare verso questi nostri compatrioti lontani o straniati, l'ufficio di fuoco e di luce; noi dobbiamo essere il focolare, cui essi si riscaldano e si illuminano; noi dobbiamo per ogni via tener salda nei loro cuori e nei loro intelletti l'immagine di questa lor patria, ideale o reale, e fare ch'essi abbiano l'ardire e la costanza di contrapporla a quella delle patrie altrui, in cui, contenti o scontenti, menano la lor vita.
E questo, o Signori, è il fine della Società che prende nome ed augurio da Dante Alighieri. Noi ne