Storia di Roma di Ettore Pais

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      CAI». III. - I SETTE HE DI ROMA.
      fecero sì che nella pseudo-storia dell'età regia e dell'antichissima repubblica si trasportassero le vedute politiche e le lotte delle età posteriori, dall'altro esse mirarono ad insegnare che a differenza dei tempi storici, in cui gli ordinamenti civili erano quotidianamente assaliti, l'antichissima Roma aveva ignorato la rivoluzione. Roma aveva ubbidito alle savie leggi dettate dai suoi re; i suoi più vetusti ordinamenti erano rimasti immutabili; persino la forma repubblicana sarebbe stata escogitata da uno di quei re, e lo stesso cangiamento di governo, secondo una tradizione che fra poco esamineremo, sarebbe avvenuto senza scosse. (') L'immobilità nel campo delle istituzioni politiche e militari è tutt'altro che una caratteristica romana. Tuttavia il presupporla rispondeva a dati fini politici ed era degna della gravità di quel popolo che aspirava ad apparire coerente e costante nell'applicazione di norme e principi giuridici, anche quando accettava nuove leggi e nuovi costumi. Roma non doveva essere da meno di quella Sparta, che per tanti secoli si diceva avesse ubbidito alle immutate leggi di Licurgo.
      Scrittori di diritto, storici, eruditi e poeti ornarono o resero più grave, a seconda del caso, tale pseudo-storia con fatti presi ad imprestito dalla letteratura greca. Il successo politico fece il resto. Ogni popolo ha in fondo la storia che si merita. Le armi romane ben presto fecero sentire il valore di chi le brandiva; e gli scrittori forestieri, da Antigono ad Egesianatte, da Polibio a Posidonio, da Alessandro Polistore a Dionisio di Alicarnasso gareggiarono nel divulgare come storia autentica e come esempi di antica virtù e di grandezza virile le patriottiche frodi dei loro vincitori e padroni.
      (') Intorno a questa doppia tendenza v. nel cap. sg.


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Storia di Roma
Parte Prima
di Ettore Pais
Carlo Clausen
1898 pagine 629

   

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da: Storia d'Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche




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