Storia di Roma di Ettore Pais

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      GLI ABORIGENI, I PELASGI, EVANDRO.
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      fabeto e della scrittura; ad Evandro infine venne attribuita l'istituzione delle feste dei Lupercali che nel mese di Febbraio si facevano appunto sul Palatino. (') Le varie narrazioni che differiscono, e talvolta non poco, su circostanze di nomi, di fatti, di tempi, sono concordi nel dire che al tempo di Evandro alle sponde del Tevere giunse Ercole, il quale uccise Caco in pena dell'avergli rubati i bovi del gregge di Gerione, che l'eroe conduceva dall'Iberia. E con l'arrivo di codesto eroe ricollegavano tanto l'istituzione dell'ara massima a lui dedicata sul foro bovario, quanto il culto degli Argei, che si soleva ancora praticare a Roma in età interamente storiche. (2)
      (') Questa versione che trovò la più ampia esplicazione in Dionisio, I. 31 sqq. si andò svolgendo man mano. Che Evandro avesse insegnato la scrittura agli Aborigeni (cfr. Tac. Ann. XI, 14) non si può dimostrare asserissero tutti gli annalisti dacché dal passo di Marcio Vittorino, art. gr. I, p. 23 K, non si può con sicurezza ricavare che ciò dicesse Ciucio l'annalista, anziché il grammatico dell'età augustea. A questo proposito va forse notato come fonti note al re Iuba della Manretania apd Pj.ut. quaest. liom. 59, dicessero all'opposto che Evandro apprese l'uso delle lettere da Ercole. Va tuttavia notato che stando a Giovanni Lido, de magistr. 15, p. 125 Bk. Catone, seguito da Varrone, asseriva che Evandro avrebbe introdotto nel Lazio la lingua eolica. Non si può inoltre attenuare che la assimilazione dei Lupercali romani al culto di Giove Liceo fosse di già fatta da Fabio Pittore apd Dion. Hal. I, 79. = fr. 5 P, dacché il confronto con Plutarco Houì. 5, che riproduce del pari la narrazione di Diocle di l'epareto e di Fabio, ci autorizza ad emettere il sospetto che sia parentetica la menzione che, /. c., dei Lupercali e degli Arcadi vien fatta dallo scrittore greco. Si aggiunga che secondo l'annalista Acino apd Plut. Jiom. 21, 17, i Lupercali sarebbero stati istituiti da Romolo.
      (*) Mentre la tradizione fa generalmente di Caco un ladro, l'autore della storia cumana (Ipercoco?) citato da Festo s. v. Romani, p. 2GG M, in un luogo assai corrotto, accenna a Caco come a principe del Palatino. Contiene molte stranezze la tradizione dell'annalista Gellio apd Sol. 1, 7, p. 4 M, secondo il quale Caco era venuto dalla Lidia in compagnia di Megale Pliryge, ma è degno in qualche modo di nota che secondo tale versione Caco si sarebbe fissato sull'Aventino (abitavit locum cui Salinae nomen est ubi Trigemina nunc porta) dopo aver occupato la Campania ed il Volturno.
      Merita particolare ricordo la versione di Diodoro, IV, 21, secondo il quale Ercole venne accolto non già da Evandro bensì da Kaxtog e da Il'.vap'.cg, i quali con ;sv'0-.g àg'.oXdyotg v.'jJ. Siopeai- xs^aptopivats èxijxr(aav. Diodoro aggiunge che l'antichissima gente dei Pinarl durava ancora al suo tempo e che del nome di Caco restava memoria nelle scale di Caco sul Palatino. La circostanza che Diodoro riferisce queste notizie in mezzo ad altre, dove seguendo Timeo espone


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Storia di Roma
Parte Prima
di Ettore Pais
Carlo Clausen
1898 pagine 629

   

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da: Storia d'Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche




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